Una nuova resistenza di fronte all’imbarbarimento degli individui, della società, della politica

ENZO BIANCHI

Questi non sono tempi buoni, segnati da una convivenza che si nutra di fiducia reciproca, di speranza, dove la vita sociale sia contrassegnata dalla ricerca di legalità, giustizia, democrazia. Siamo testimoni di un involgarimento dei rapporti, di una rozzezza di chi detiene funzioni nelle istituzioni e della mediocrità che dilaga tra la gente. Non è un clima di leggerezza, ma di insostenibile pesantezza, deteriora la qualità della vita personale e sociale. A questa sonnolenza della responsabilità sociale sembra non sia possibile opporre uno sforzo educativo, una protesta. Si parla di resistenza, ma non si è capaci di una vera prassi di resistenza che necessita non solo di indignazione, ma di una insurrezione delle coscienze. L’involgarimento dilaga “nel popolo”, a tal punto da impedire che sia il soggetto della responsabilità. Ma solo la responsabilità può consentire il cammino verso la democrazia.

Così “il popolo” può essere usato e la “volontà popolare” può preferire delegare tutto a un capo, a istituzioni autoritarie, nell’illusione di accedere all’ordine sociale che garantirebbe la prosperità. L’autentica qualità della vita sociale richiede invece il senso della responsabilità personale, un suo esercizio soggettivo che implica la vigilanza affinché siano affermate giustizia, legalità, eguaglianza. Ma da cosa nascono gli impedimenti alla responsabilità personale in una società nella quale la democrazia si fa debole? Innanzitutto dalla venerazione della tradizione e dal tentativo di ripristinarla. È il ricorso ai cosiddetti valori: Dio, patria, famiglia… Evocarli è un tentativo di far risorgere autoritarismi e l’ordine sociale che contraddistingue ogni fascismo. Dio non ha bisogno di essere invocato come reggitore del nostro vivere nella polis: questo riguarda noi umani e Dio resta silenzioso per lasciarci liberi nelle scelte. Noi cristiani non sentiamo la patria come una terra solo nostra, perché ogni terra per noi è patria e la nostra patria dovrebbe essere terra aperta a tutti senza muri, senza che si faccia del mare che la circonda un cimitero.

Quanto alla famiglia, oggi sappiamo leggere anche le violenze di cui un tempo si nutriva e ne accogliamo la diversità, che non corrisponde più al modello patriarcale del passato.
Dietro il culto e la nostalgia della tradizione c’è la grande paura della differenza, di chi non appare conforme al modello dominante: una paura che ha la pretesa di legittimare l’avversione e l’ostilità verso gli immigrati che dovrebbero essere ricacciati nelle loro terre di fame e di guerra. Verso gli islamici che si radunano per pregare e vorrebbero una moschea. Verso le persone con altro orientamento sessuale. Ciò che è altro, diverso, in nome della paura va escluso come va esclusa la possibilità di arrivare a un’Europa plurale, che sarebbe più capace di assicurare democrazia.

Ecco perché è necessaria una nuova resistenza capace di risvegliare il popolo affinché non sogni un suo unico interprete al potere ma un’architettura sempre capace di accrescere la democrazia.

in “la Repubblica” del 20 maggio 2024

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