L’economia italiana: crescita, criticità, cambiamenti

FRANCESCO MARIA CHELI, Presidente f.f. Istat

Le prospettive di crescita dell’economia italiana per il 2024 sono a oggi moderatamente positive, anche se gli sviluppi del quadro macroeconomico internazionale restano molto incerti e condizionati dalle tensioni geopolitiche in Europa e nel Medio Oriente.

Nell’ultimo triennio, dopo la caduta del 2020, il nostro Paese è tornato a crescere a un ritmo superiore a quello medio dell’Unione europea e, tra le maggiori economie, più rapidamente rispetto alla Francia e alla Germania. La dinamica del Pil è stata sostenuta soprattutto dalla domanda interna, con un ruolo importante degli investimenti, e un contributo significativo, ancorché decrescente nel tempo, di quelli in costruzioni, su cui hanno certamente avuto un peso gli incentivi al comparto edilizio.

Il 2023 è stato caratterizzato da un marcato rallentamento dell’attività nell’in- sieme delle economie avanzate e da un ristagno del volume degli scambi internazionali. L’andamento delle maggiori economie europee è stato diseguale: il Pil è aumentato del 2,5 per cento in Spagna, dello 0,9 in Italia (dal 4,0 dell’anno precedente) e dello 0,7 in Francia, mentre in Germania si è contratto dello 0,3 per cento. Sul rallentamento della crescita in Italia ha pesato l’indebolimento della domanda per consumi delle famiglie.

Dopo un biennio di forte crescita, gli investimenti hanno mostrato un rallentamento, ma si sono mantenuti in territorio positivo in tutte le componenti.

La bilancia commerciale, che nel 2022 era risultata in deficit per oltre 30 miliardi di euro a causa dell’impennata dei prezzi dell’energia, è tornata nel 2023 in surplus per 34,5 miliardi, grazie al miglioramento delle ragioni di scambio, a una forte riduzione delle importazioni e a una sostanziale stabilità del valore delle esportazioni.

Le stime preliminari per il primo trimestre del 2024 indicano una crescita congiunturale moderata in Italia (+0,3 per cento), Francia e Germania (+0,2 in entrambi i casi), e più robusta in Spagna (+0,7 per cento). Se queste stime fossero confermate, per l’Italia la crescita acquisita per il 2024 sarebbe dello 0,5 per cento. Nel nostro Paese, la variazione congiunturale è la sintesi di un aumento del valore aggiunto in tutti i comparti; dal lato della domanda, si rileva un contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte) e un apporto positivo della componente estera netta.

Negli anni più recenti, alla crescita economica si è associato il buon andamento del mercato del lavoro: nel 2023 il numero di occupati è continuato ad aumentare a un ritmo leggermente inferiore a quello dell’anno precedente (+2,1 per cento, dal +2,4), nonostante il rallentamento dell’attività economica.

I primi dati per il 2024 confermano questa tendenza favorevole. In linea con quanto osservato l’anno precedente, l’aumento dell’occupazione nell’ultimo anno è stato prevalentemente riconducibile alla componente a tempo indeterminato.

Nell’ultimo anno è proseguito il miglioramento del quadro di finanza pubblica, con una riduzione dell’incidenza sul Pil dell’indebitamento netto (dall’8,6 al 7,4 per cento) e del debito (dal 140,5 al 137,3 per cento).

Dalla seconda metà del 2021, l’Italia si è confrontata, come gli altri paesi avanzati, con l’ascesa dei prezzi originata dalle materie prime importate, seguita a fine 2022 da un rapido processo di raffreddamento, che nel 2023 si è consolidato. Entrambe queste dinamiche sono state relativamente più accentuate in Italia. Nel nostro Paese, l’Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato per i Paesi dell’Unione europea (IPCA) aveva raggiunto a ottobre 2022 una variazione tendenziale del 12,6 per cento, la più elevata tra le maggiori economie dell’Unione: in Germania la variazione era stata dell’11,6 per cento, in Francia del 7,1, mentre in Spagna il picco, 10,7 per cento, era stato toccato a luglio di quell’anno. D’altra parte, secondo le stime preliminari, nel mese di aprile 2024 la variazione tendenziale in Italia è stata di appena l’1 per cento, contro il 2,4 in Francia e Germania, e il 3,4 in Spagna.

L’episodio inflazionistico, straordinario per ampiezza, ha avuto effetti differenti a livello settoriale sui margini di profitto delle imprese. Per le fami- glie – anche a causa di un andamento delle retribuzioni nominali che non ha tenuto il passo con il repentino incremento dell’inflazione – l’ascesa dei prezzi ha comportato una riduzione del potere di acquisto, rilevante soprattutto per le fasce di popolazione meno abbienti, a causa dell’aumento più pronunciato dei prezzi di beni primari, quali alimentari ed energia. Nel complesso, nell’ultimo biennio, le famiglie hanno mantenuto i livelli di consumo riducendo la propensione al risparmio, che era quasi raddoppiata nel 2020. A partire dalla fine del 2023 si evidenziano, tuttavia, primi segnali di recupero delle retribuzioni contrattuali, che mostrano una crescita superiore a quella dell’inflazione.

Se negli ultimi anni, durante i diversi shock che si sono succeduti, l’economia italiana ha saputo reagire – anche grazie alle misure governative di sostegno ai redditi e all’attività economica nel corso della pandemia e della crisi energetica – nondimeno, le prospettive di crescita del Paese restano vincolate a fattori di criticità che hanno radici profonde, per le quali ancora molto può essere fatto e, in parte, si sta facendo.

La performance economica relativamente buona del nostro Paese negli ultimi anni, specie se considerata nel difficile contesto in cui si è dovuta misurare, segue infatti due decenni caratterizzati da una crisi prolungata, in cui l’attività economica e la produttività del lavoro sono cresciute a un ritmo molto inferiore rispetto all’esperienza storica e alle altre maggiori economie europee, determinando anche una crescita molto modesta dei salari reali. In Italia, solo a fine 2023 il Pil reale era tornato al livello del 2007: in 15 anni, si è accumulato un divario di crescita di oltre 10 punti con la Spagna, 14 con

la Francia e 17 con la Germania; se si confronta il 2023 con il 2000, il divario è di oltre 20 punti con Francia e Germania, e di oltre 30 con la Spagna.

In questo periodo la struttura dell’economia italiana si è progressivamente adattata ai cambiamenti del contesto competitivo e, più recentemente, all’impatto della transizione digitale.

Nonostante permangano criticità e ritardi nell’utilizzo delle tecnologie più complesse – come l’Intelligenza Artificiale – e nella diffusione delle competenze digitali, il sistema produttivo e la Pubblica amministrazione hanno mostrato progressi significativi nell’adozione e nell’impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT). La digitalizzazione del siste- ma economico, favorita dalle politiche di incentivo messe in atto negli ultimi anni e accelerata dalle esigenze di temporanea riorganizzazione delle atti- vità lavorative indotte dalla pandemia, potrà essere ulteriormente rafforzata dagli investimenti previsti dal PNRR.

Tra le criticità in questo campo si osservano la propensione ancora in- sufficiente delle piccole e medie imprese all’adozione delle tecnologie più complesse, la carenza di personale qualificato nelle professioni ICT e la ridotta capacità del sistema economico di assorbire questo tipo di risorse per migliorare l’efficienza e la produttività.

Alcuni passi in avanti sono stati fatti dalla Pubblica amministrazione, in termini di dotazione infrastrutturale (con riflessi positivi anche sotto il profilo organizzativo), di ampliamento dei servizi online e, contestualmente, di diffusione dell’uso di questo canale da parte di cittadini e imprese. Resta importante adottare misure efficaci di contrasto al digital divide, che penalizza e marginalizza alcune categorie di cittadini, come i più anziani e i meno istruiti.

Negli ultimi venti anni, l’Italia ha difeso il proprio posizionamento sui mercati internazionali dei beni in un quadro di concorrenza crescente da parte delle economie emergenti, riuscendo ad assorbire gli effetti della perdita di peso delle esportazioni di molte filiere attraverso l’evoluzione della specializzazione commerciale. Molto meno positiva è stata la performance nei servizi, dove sono relativamente poco sviluppate le attività più intense in conoscenza e a elevato valore aggiunto. Un fatto, questo, che ha contribuito a indebolire l’andamento dell’economia e ha incrementato la dipendenza dall’estero del sistema produttivo.

La riduzione della capacità produttiva nella manifattura e la persistente debolezza della domanda interna hanno contribuito a deprimere gli investimenti fissi lordi e, di riflesso, la produttività del lavoro. In quasi tutti i settori, la dinamica della produttività è stata inferiore rispetto agli altri Paesi, e il modesto effetto positivo della riallocazione dell’occupazione verso attività relativamente più produttive, quali i Servizi professionali e di supporto, è stato quasi interamente annullato dalla contestuale riduzione della produttività in quegli stessi comparti. Oltre a ciò, ha pesato il basso livello degli investimenti complessivi e, in particolare, di quelli immateriali, che maggiormente concorrono all’ammodernamento dello stock di capitale. La recente risalita degli investimenti e l’ulteriore apporto che potrà venire dal PNRR potrebbero garantire nel medio periodo un recupero di produttività. Si segnala, tuttavia, che nel confronto europeo il deficit di produttività sia concentrato soprattutto nelle imprese di minori dimensioni, molto rilevanti nella struttura produttiva italiana.

Testo presentato mercoledì 15 maggio 2024 a Roma – Palazzo Montecitorio. Per saperne di più vedi ISTAT, Rapporto annuale 2024, La situazione del Paese

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