EZIO MAURO
Convinti di aver capito la lezione che viene dal passato, non credevamo che i nostri figli avrebbero vissuto la contemporaneità di un pogrom, con i tagliagole che attaccano di notte per uccidere uomini, donne e bambini inermi, colpevoli soltanto di essere ebrei e per questo giustiziati come portatori di una colpa perenne, inestinguibile. Nel 2023 sembra di sentire la voce dei lamenti e dei racconti in yiddish testimoniati nella letteratura dell’Europa centrorientale, con la storia che non impara da se stessa (nonostante le fosse comuni del genocidio nel 1995 a Srebrenica) e il male che riemerge da ogni sconfitta, pronto a contendere il destino dell’umanità.
Ma è inutile negare che nel massacro programmato dai terroristi di Hamas abbiamo intravisto — in diverse proporzioni e in tutt’altro contesto — la stessa scintilla dell’Olocausto con l’ebreo da annientare come perpetua e suprema missione, fuori dal tempo e indifferente allo spazio dove si compie. Certo, la Shoah parla attraverso la sua unicità che contiene il mistero dell’inconcepibile e fissa il limite supremo dell’abiezione: ma l’eccidio del 7 ottobre ha nel suo significato universale l’eco di quegli stessi propositi di annientamento e distruzione sul cui rigetto si è costruita la civiltà occidentale del Dopoguerra.
![](https://francescomacri.wordpress.com/wp-content/uploads/2023/10/tempesta.jpg?w=600)
Proprio per queste ragioni anche il pogrom di Hamas è un unicum dei nostri anni, e non per il numero di vittime, che resta spaventoso: ma perché i morti non sono combattenti in azioni di guerra bensì civili, inseguiti e uccisi nella normalità della loro esistenza quotidiana, nell’esercizio personale delle scelte autonome, nella libertà delle piccole cose che è il tessuto pratico, concreto, del modo di vivere in democrazia.
Continua a leggere