STEFANIA FALASCA
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Domenica scorsa l’incontro interreligioso, insieme a dodici rappresentanti di altri culti, nel teatro della capitale a forma di “ger” Il richiamo di Francesco: «Le tradizioni religiose rappresentano un formidabile potenziale di bene messo al servizio della società». «La nostra responsabilità qui è grande, specialmente in quest’ora della storia».
Sulla montagna Bogd Khan Uul, che da sud domina la capitale mongola Ulan Bator, papa Francesco è arrivato puntuale domenica mattina all’appuntamento per l’incontro ecumenico e interreligioso nel «cuore del grande e decisivo continente asiatico». Il dialogo è urgente in nome della pace e della cooperazione e la Mongolia, a maggioranza di fede buddista, è oggi un caleidoscopio di religioni. Giusto un anno fa, il 14 settembre, sempre in Asia, il Papa aveva partecipato al settimo Congresso dei Leader delle Religioni mondiali e tradizionali riunitasi nella capitale del Kazakistan e firmato una Dichiarazione congiunta. Allo Hun Theatre di Ulan Bator a forma di ger – l’antichissima abitazione dei popoli nomadi dell’Asia centrale a forma circolare e con apertura centrale sul soffitto – papa Francesco si è seduto accanto a dodici rappresentanti locali di buddismo, induismo, islam, shintoismo, sciamanesimo, ebraismo, delle Chiese ortodosse ed evangeliche e ha ringraziato il popolo mongolo «che può vantare una storia di convivenza tra esponenti di varie tradizioni religiose».
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