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Barbiana e la Costituzione nel centenario della nascita di Don Milani

BENIAMINO DEIDDA**

Nella reazione di Don Milani contro le ingiustizie che colpiscono i più poveri, c’è già l’intuizione fondamentale del suo impegno sociale e civile: i poveri hanno bisogno di scuola. Non per imparare, “ma solo – come dirà in una lettera del 1955 a Giampaolo Meucci – per dare loro i mezzi tecnici necessari (cioè la lingua)… per poter insegnare essi a voi le inesauribili ricchezze di equilibrio, di saggezza, di concretezza, di religiosità potenziale che Dio ha nascosto nel loro cuore quasi per compensarli della sperequazione culturale di cui sono vittime”.
Dunque, una grande opera civile che non ha niente a che fare con l’apostolato e con l’educazione religiosa. Una scuola di una laicità esemplare e modernissima ancora oggi lontana dall’orizzonte di molti cattolici. Una scuola, come dirà in una lettera, da intestare non al Sacro Cuore, ma a Socrate. Una scuola dove – con scandalo di molti – non c’è neppure il crocefisso.

Una lezione che riguarda tutti

I grandi temi del pensiero milaniano non sono stati elaborati nell’ambito del magistero ecclesiastico. Negli anni in cui i confratelli portavano in Processione la Madonna e organizzavano la ricreazione dei giovani parrocchiani, gli interessi di don Lorenzo erano diversi: si occupava delle emergenze del lavoro che attanagliavano i suoi giovani parrocchiani, rivendicando per loro i diritti che la Costituzione solennemente gli riconosce. Chi ricorda la vicenda, riportata in Esperienze pastorali, del giovanissimo Mauro, costretto a lavorare senza diritti presso la ditta di un industriale privo di scrupoli, non faticherà a riconoscere i mali che anche oggi tormentano il mondo del lavoro: il precariato, lo sfruttamento di poveri emigrati, il razzismo nei confronti dei diversi. Contro questi mali si è indirizzata la lezione di don Lorenzo. Ed è una lezione che riguarda tutti: gli industriali, la scuola che respinge gli ultimi, i borghesi con i loro egoismi, i preti che preparano giochi e cinematografo per i giovani, i Vescovi che chiudono gli occhi dinanzi ai fascisti e all’oppressione dei più deboli.

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La scuola di Barbiana. Il metodo innovativo di don Milani

SANDRA GESUALDI

Ci sono luoghi che per essere grandi devono restare piccoli. Che per farsi ascoltare hanno bisogno di silenzio. Anzi la loro voce è il silenzio. Quello denso e tombale che imbarazza le coscienze molli tanto custodisce un tempo inestimabile. Il tempo delle lotte partigiane, delle fatiche e miserie mezzadre, dei pensieri ribelli e della conoscenza che squarcia. Dell’esilio che fa soffrire. Ci sono luoghi immensi proprio perché, pur essendo tanto minuti e marginali, sono riusciti a contenere un’epoca, delle idee e scelte così.

Barbiana è uno di quei luoghi. Se la osservi dalla collina di San Martino, dalla parte dove sorge il sole e che le sta dirimpetto, sembra un bottone piccolo sul manto lanoso di boscaglia.

Un mucchietto di sassi incastonati nel Monte Giovi, un nodulo chiaro tra il verde brillante del Mugello da cui spunta, acuto e sottile, il piccolo campanile. Che quella è Barbiana lo si capisce proprio dalla torre campanaria in pietra, tipica delle chiesette di campagna. Quattro campane ancora squillanti, la piccola, la mezzanina e le due grandi per i rintocchi lontani. Da suonare rigorosamente a mano, strattonando con forza grandi corde.

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