ROBERTO COLOMBO
Nei laboratori medici e scientifici non c’è distinzione tra laici e cattolici, tutti lavorano con lo stesso metodo. Ciò che può fare la differenza è l’orizzonte entro cui ci si orienta.
È tesi condivisa dagli storici che scienza empirica, tecnologia e medicina moderna abbiano trovato le ragioni e le condizioni culturali, sociali e politiche per la loro nascita ed il vigoroso sviluppo in Occidente proprio nel terreno ebraico-cristiano in cui sono cresciute le altre scienze e arti. Dal XVII al XX secolo, nel seno della Chiesa e delle istituzioni a essa collegate troviamo nomi della ricerca legati a capitoli decisivi per l’innovazione delle conoscenze matematiche, fisiche, biologiche e mediche: Newton, Spallanzani, Volta, Mendel, Marconi, Pasteur, Gemelli e Lejeune, per citarne alcuni. Non pochi erano anche dei consacrati.
Al di là di questa eredità cospicua (le eredità contano, e il loro contributo non può essere liquidato dai successori come questione sentimentale, con una lapide alla memoria), cosa resta oggi della cultura cattolica e della presenza dei cattolici lì dove lavorano ricercatori e medici, si progettano studi sperimentali e clinici, e si autorizzano e finanziano investigazioni scientifiche e nuove strutture sanitarie? Lo sguardo originale della fede sull’uomo, il mondo e il bene fondamentale della vita umana individuale e sociale, il proprium della cultura cattolica, è ancora visibile e incisivo dove si fa ricerca, insegnamento, sviluppo tecnologico, diagnosi, terapia e cura? Non mancano credenti, parecchi anche giovani, tra i ricercatori, i docenti universitari, i tecnologi, i medici e altri professionisti. Frequentatori delle messe, membri di consigli pastorali, associazioni e movimenti ecclesiali, non pochi sono educatori in oratori ed attivi nel volontariato e in istituzioni cattoliche. Sono diaconi o ministri straordinari dell’Eucaristia. Donne e uomini di fede. Mogli, mariti, genitori e figli bravi e apprezzati. Qualcuno sulla via della santità.
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