ENZO BIANCHI, intervistato da SILVIA TRUZZI
“Amico” è la prima parola che Enzo Bianchi, fondatore e a lungo priore della Comunità di Bose, pronuncia quando gli chiediamo di papa Ratzinger, le cui condizioni di salute si sono aggravate. “Ci siamo conosciuti nel 1976, durante un seminario teologico. Durante il suo pontificato mi ha nominato esperto in due sinodi, più volte mi ha ricevuto in udienza. È stato uno dei papi più importanti dal punto di vista teologico. Ricordo che intervenne come esperto al Concilio Vaticano II e già allora emergeva nel mondo come teologo. Tutta la sua vita è stata nel segno dello studio, incessante e rigoroso. L’enciclica Dio è amore è un testo eterno”.
Benedetto XVI nel 2013 prese una decisione storica, dimettendosi.
Altri papi prima di lui avevano rinunciato, non solo il Celestino V che Dante ha reso celebre nella Commedia. Credo che un tratto umano poco compreso di Papa Ratzinger sia l’umiltà: quando ha capito che con le sue forze non era più in grado di governare la complessità della Chiesa e che aveva di fronte tempi che si annunciavano nuovi a cui non si sentiva preparato, allora ha rinunciato. La scelta non è dipesa né dal timore, né dagli scandali come spesso si è detto: sentiva di non essere all’altezza per l’età e le condizioni di salute. Il suo è stato un gesto di grande generosità verso la Chiesa, un gesto che definisce la sua grandezza di uomo e di pontefice. Con le dimissioni ha liberato il papato da un eccesso di sacralità, rendendolo un servizio umano, necessario per volere di Cristo, ma a cui si può rinunciare se le forze vengono meno.
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