Archivi tag: razzismo

Se l’Africa si scopre razzista

KARIMA MOUAL

Il presidente tunisino Kais Saied, in un discorso al consiglio di sicurezza sugli immigrati subsahariani nel Paese, oltre a descriverli come la fonte di crimini e violenze si è spinto più in là e, come un leader di estrema destra qualunque, per rendere il suo messaggio più potente contro i subsahariani, ormai non benvenuti a Tunisi, ha parlato di un disegno di «sostituzione etnica» evocando un «piano criminale per cambiare la composizione demografica della Tunisia sostituendo una popolazione araba e musulmana con una nera». Saied ha anche menzionato l’esistenza di organizzazioni che ricevono denaro dall’estero per partecipare a questa impresa di colonizzazione volta, secondo lui, a offuscare l’identità arabo-musulmana.

Parole che hanno creato indignazione e aumentato gli episodi di razzismo e discriminazione, già denunciati nel Paese. Da Tunisi si è avviata una fuga, con viaggi organizzati dalle ambasciate dei Paesi di provenienza come Guinea e Costa d’Avorio. La ferita è così profonda che a Sud ci si prepara al boicottaggio delle merci tunisine, oltre che dei rapporti economici, e la Banca mondiale ha sospeso i negoziati con il Paese, già in default.

Ma cosa si nasconde dietro le parole di un presidente arabo, musulmano, conservatore e tanto populista come Saied?

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Il razzismo che è in noi

IJEOMA OLUO, intervistata da ANNA LOMBARDI

«Non conosco afroamericani che non abbiano sofferto episodi razzisti. Ma quando lo dico la reazione è sempre di incredulità. È difficile far capire cosa significa nascere con la pelle nera. Sei trattato diversamente fin dalla scuola a dispetto dei tuoi modi educati, del tuo sorriso aperto, della tua fragilità».

Al telefono da Seattle dove è nata e vive, Ijeoma Oluo, 43 anni, papà nigeriano e mamma bianca del Kansas, racconta con mesta durezza la genesi del suo E così vuoi parlare di razza? : il bestseller pubblicato in America nel 2018 e schizzato in cima alle classifiche nel 2020, dopo l’atroce morte di George Floyd, che ora viene pubblicato anche da noi, edito da Tlon. Attivista, scrittrice, giornalista (ha una rubrica pure sul Guardian) è stata inserita da Time nella lista dei 100 afroamericani più influenti.

«Quante volte avete sentito la frase “Non sono razzista, ma…”?. Ebbene, è proprio allora che bisogna preoccuparsi ».

Il suo libro ha scalato le classifiche dopo la morte di George Floyd. L’orrore di quell’assassinio ha costretto l’America a guardarsi allo specchio?

«Il libro era nato molto prima. Mi occupavo di marketing e non avevo mai pensato di fare la giornalista fino al 2012: quando la morte di Trayvon Martin, il 17enne ucciso da una guardia privata solo perché camminava con la testa coperta da un cappuccio, mi spinsero a convertire il mio blog di cucina in qualcosa di più politico.

Quell’assassinio crudele – e le tante, troppe morti di afroamericani venute dopo – mi hanno convinta della necessità di un confronto franco, magari doloroso, dove raccontare in cosa consiste davvero la realtà degli afroamericani: aspirando a una vera comprensione reciproca».

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Razzismo. Una malattia abbastanza diffusa in Italia

KARIMA MOUAL

Lo ammetto, saranno almeno 8 anni che intimamente ci lavoro, ci penso con dolore e profonda sofferenza, ma alla fine mi avete convinta. Avete vinto voi. E credo che sia una consapevolezza di tantissimi come me, figli di immigrati proprio come Paola Egonu.

Mi avete convinta. Non sono italiana. Anzi, non saremo mai italiani abbastanza come voi. I nostri nomi sono troppo stranieri, le nostre facce, i tratti, il colore della pelle, ancor più se è nera, non passa.

Sono ormai adulta e una mamma e forse è giunto il momento di tirare le somme. Almeno è questa la presa di coscienza di un percorso di una parte della mia generazione arrivata dopo molti anni, dall’infanzia all’età adulta, a inserirsi pienamente nella società italiana, con sacrifici, dedizione e amore, portando successo a se stessa e al Paese in cui è cresciuta, l’Italia.

Mentre scrivo queste parole, mi leggo anche al passato e percepisco l’ingenuità che ho avuto in tutti questi anni pensando di far parte di un «noi», parlando e scrivendo ogni volta di un «noi italiani». In ogni passo, atto d’amore o critica. Rabbia, frustrazione o gioia.

Certo, arrivare a quel «noi» non è stato facile. È stato un crescendo. Eppure, più diventavo e mi sentivo italiana e più qualcuno mi ricordava che non lo ero poi del tutto. Più si costruiva la mia identità, mi appassionavo ed entravo nel profondo del mio sentimento e più arrivava chi mi dava la sveglia: ehi tu, non sei italiana e non sarai mai italiana. Era un po’ il sapore della stessa sveglia che mi dava mia madre quando per paura di perdermi, perché ero invece troppo italiana per lei in molte mie scelte anche divisive e di ribellione, mi ricordava in modo dispregiativo: ehi tu, tanto per loro sei e sarai solo una marocchina.

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Razzismo. Quei due trapper a caccia del nemico nero

KARIMA MOUAL

«Ti ammazziamo perché sei nero». Queste poche parole stavolta non provengono dai social, sapendo di essere magari protetti da un falso profilo e uno schermo che segna una distanza netta. No: stavolta a pronunciarle sono Jordan e Traffik – nomi d’arte di due giovanissimi italiani abbastanza conosciuti nel mondo della musica trap – contro un operaio di origine nigeriana. Parole accompagnate da una violenza inaudita contro un uomo di 41 anni che ha la sola colpa di avere la pelle nera. Tanto basta per essere preso di mira dai due trapper, armati di coltello, che inveiscono contro di lui con minacce di morte e alla fine riescono a rapinarlo di zaino e bicicletta.

Questa brutta storia – grazie anche alla vittima che riesce a scattare, seppur da lontano, alcune foto ai suoi aggressori – finisce con l’arresto dei due per rapina aggravata dall’uso di armi e dalla discriminazione razziale. Ma non finisce davvero, perché è l’ennesimo caso di violenza a sfondo razziale. E si aggiunge ai troppi altri casi che si sono susseguiti in questi anni, ma che purtroppo continuano a non essere presi in considerazione come spia di qualcosa che sta covando da troppo tempo, e che oggi purtroppo intacca trasversalmente anche i più giovani. Ecco, con tutti i conflitti che si trova a vivere il nostro Paese, quello etnico, razziale, che consiste nella discriminazione, criminalizzazione e nell’odio per gli stranieri, immigrati, rispolverando il più becero e vecchio sentimento di ostilità verso gli africani, che se sono neri va ancora peggio, è quello che più dovremmo temere per il futuro della nostra società.

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No al razzismo sempre e dovunque

TAHAR BEN JELLOUN

A cosa serve un festival? A far conoscere artisti di talento. Il festival di Sanremo esiste da tantissimo tempo e la sua popolarità arriva fino in Marocco.

La sorpresa è stata totale. Ho visto il video e sentito quello che ha detto Lorena Cesarini: «Io resto nera». Ha ragione. Non ho mai sentito un attore europeo, una cantante europea affermare «io resto bianco», «io resto bianca». Ecco un esempio magnifico di meticciato riuscito: una donna bellissima, di padre italiano e madre senegalese, è in televisione per presentare una serata popolarissima. Ed ecco che dice e fa quello che nessuno aveva previsto. La mescolanza è uno straordinario motore e produttore di bellezza, senz’altro fisica ma anche mentale.

Commosso, l’ascoltavo leggere le mie frasi in italiano e mi ricordavo di quel giorno piovoso del 1997 in cui, per le strade di Parigi, manifestavo insieme a mia figlia Mérième, che è nata come Lorena nel 1987, contro le leggi che tentavano di rendere difficile la vita degli immigrati in Francia. E mia figlia scandiva con gli altri «No al razzismo», senza sapere che cosa fosse il razzismo. Tornati a casa, mi disse: «Papà, è la mia prima manifestazione e non so contro cosa manifestavo, che cos’è il razzismo? E non capisco, come si fa essere razzisti?». Tutto è partito da là: una ragazzina che voleva sapere da dove viene questo flagello, come si sviluppa, come lo giustificano alcuni, come lo usano certi esponenti politici per arrivare al potere.

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Nel ricordo di Martin Luther King. Il sognatore che non si è mai arreso

DAVIDE DIONISI

«Io ho un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia, i figli di coloro che furono schiavi e i figli di coloro che possedettero schiavi sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza (…) Io ho un sogno, che i miei quattro bambini possano un giorno vivere in una nazione in cui non saranno giudicati dal colore della pelle». Il 28 agosto 1963, 300.000 manifestanti giunti da ogni parte degli Stati Uniti si trovarono al Lincoln Memorial, a Washington, per ascoltare il pastore battista, Martin Luther King che, nell’occasione, pronunciò il suo discorso più famoso: «I have a dream».

Il 4 aprile dell’anno successivo venne assassinato a Memphis, in Tennessee, da James Earl Ray, mentre al primo piano dell’Hotel Lorraine stava parlando con il reverendo Jesse Jackson, futuro primo candidato alla nomination del Partito democratico per le elezioni presidenziali. Ma il suo sogno, quello di «una società dove ci sia armonia e uguaglianza da conquistare attraverso la via della non violenza è ancora attuale», ha scritto Papa Francesco, il 18 gennaio dello scorso anno, in un messaggio a Bernice Albertine King, la figlia minore del leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, anche lei impegnata da anni nella promozione di una cultura di pace, basata sulla non violenza e contro ogni tipo di discriminazione.

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Desmond Tutu: «La mia terra bella e ingiusta, dove ogni nero è straniero»

Desmond Tutu

Vengo da una terra bellissima, che Dio ha generosamente dotato di impareggiabili risorse naturali, vaste pianure, montagne e colline, uccelli canori, stelle rilucenti nel firmamento blu, e un sole raggiante, un sole d’oro. Delle cose buone distribuite dalla munificenza divina ce n’è a sufficienza per tutti, per ognuno di noi, ma l’apartheid ha sancito l’egoismo dei pochi, spingendoli ad accaparrarsi con ingordigia una quota sproporzionata di tutto ciò, a ghermire per sé la parte del leone, perché il potere è nelle loro mani. Si sono impadroniti dell’87 per cento del territorio, pur rappresentando il 20 per cento della nostra popolazione. Tutti gli altri devono accontentarsi del rimanente 13 per cento. L’apartheid ha ratificato la politica dell’esclusione. Il 73 per cento della popolazione è esclusa da qualunque partecipazione significativa nei processi decisionali della politica, nella stessa terra che ha dato loro i natali.

La nuova costituzione, che prevede tre camere, una per i bianchi, una per i meticci e una per gli indiani, menziona un’unica volta i neri, per poi ignorarli completamente. Pertanto la nuova costituzione, osannata da una parte dell’Occidente come un passo nella giusta direzione, altro non fa che consolidare razzismo e appartenenza etnica. Le commissioni costituzionali sono formate secondo il rapporto di quattro bianchi a due meticci e a un indiano. Zero neri. Ora, due più uno non saranno mai pari — né tantomeno superiori — a quattro.

Ne consegue che questa costituzione sancisce e consegna per legge il potere nelle mani della minoranza bianca. I neri potranno inseguire le loro aspirazioni politiche nei bantustan, quei territori aridi, inabitabili, devastati dalla povertà, ghetti di miseria, riserve inesauribili di manodopera nera a basso costo, nei bantustan che rispondono alla volontà di balcanizzare il Sudafrica.

I neri vengono sistematicamente spogliati della loro cittadinanza sudafricana e trasformati in stranieri nella stessa terra dove sono nati. È questa la soluzione finale dell’apartheid, proprio come il nazismo aveva previsto la soluzione finale degli ebrei nella follia ariana di Hitler. Il governo sudafricano è assai scaltro. Gli stranieri vantano pochissimi diritti civili, e nessun diritto politico. (…) Si dice che un giorno un cittadino dello Zambia conversava con un sudafricano. Lo zambiano si vantava del ministro della Marina del suo Paese. Il sudafricano gli chiede: «Ma se non avete uno sbocco sul mare, come fate ad avere un ministro della Marina?». E lo zambiano lo rimbecca: «Beh, e voi in Sudafrica, non avete forse il ministro della Giustizia?».

*Estratto dal discorso pronunciato per l’accettazione del premio Nobel per la Pace 1984 Traduzione di Rita Baldassarre

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Il razzismo sofferto dove sei nata

Gian Antonio Stella

«Perché non te ne torni a casa tua?» È una vita che Marilena Umuhoza Delli, papà leghista bergamasco, mamma ruandese sposata quando lui era missionario in Africa, si sente fare la stessa domanda. E una vita che risponde, con l’accento di Bèrghem: «Io mi trovo esattamente nell’unico paese che abbia mai conosciuto: l’Italia. Dove sono nata, sono cresciuta, sono stata insultata. Non c’è altro posto in cui vorrei essere». Certo, ha studiato e vissuto pure in California, dove ha trovato Ian Brennan, un produttore musicale che ha sposato e si è tirata dietro nelle amate terre, «ma è l’Italia casa mia». Più precisamente, oggi, sta sciacquando i panni nelle acque veneziane. A Cannaregio ha casa, a Cannaregio sta crescendo la sua bimba che, trent’anni dopo, si trova alle prese con un po’ di problemi identici ai suoi.

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Emergenza educativa. Bullismo e razzismo tra i giovani

LUCIANO MOIA

Episodi di cronaca

Quattordicenne nera aggredita dalle compagne a Torino. Nove denunciati a Forlì, tra i 13 e i 17 anni. L’appello degli esperti: approccio educativo da rinnovare profondamente. Dare forza alle reti tra adulti.

Ancora episodi di discriminazione violenta. Ancora ragazzi protagonisti negativi di bullismo a sfondo razzista. Dopo la lettera aperta di un padre che, nel Cosentino, tre giorni fa, ha parlato di ‘gravità inaudita’, per denunciare il figlio autore di un pestaggio ai danni di un ragazzo più piccolo, ieri sono emersi altri episodi in Piemonte e in Romagna. A Torino una ragazza di 14 anni è stata picchiata e insultata davanti a scuola, per il colore della sua pelle. «Mi ha chiamata scimmia, mi ha detto che quelli come me devono morire», ha raccontato la giovane che ha denunciato l’aggressione alla polizia. È accaduto all’esterno di un istituto alberghiero. «Ero appena arrivata ed ero con le mie amiche, quando si è avvicinata una ragazza di un’altra classe. Mi ha afferrata per i capelli, mi ha strappato alcune treccine. Si è seduta sopra di me, schiacciandomi con un ginocchio e dandomi colpi sul costato». Chi l’ha aggredita si è poi presentata al pronto soccorso con alcune contusioni alle mani, sostenendo di avere difeso un compagno disabile «dall’atteggia- mento ingiusto della ragazza». Ma l’aggressione è stata filmata e alcuni genitori hanno mandato il video alla madre. «Non riesco nemmeno a guardarlo. In tanti anni in Italia, nessuno mi ha mai offesa per le mie origini. Mentre mia figlia si trova a combattere con il razzismo. Le consiglio di passare oltre, di non prendersela».

A Forlì poi otto minorenni tra i 13 e i 17 anni sono stati denunciati a piede libero e un altro è finito agli arresti per numerosi atti di bullismo che si sono verificati in città negli ultimi mesi, in particolare in alcuni parchi cittadini. La baby gang prendeva di mira coetanei con atti di bullismo che sfociavano in rapine, estorsioni, lesioni anche con l’utilizzo di oggetti atti ad offendere e furti. I giovanissimi depredavano le loro vittime di cellulari, biciclette, denaro.

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Schiavitù, l’origine del razzismo

Donatella Di Cesare

Il saggio della storica Aurélia Michel sulle radici moderne dell’odio per i neri. Non si può oggi prescindere dalla duplice condanna che ha colpito il razzismo: quella dell’etica, che a Norimberga ha pronunciato un giudizio inappellabile, e quella della scienza, che ha indicato nella «razza» nient’altro che un’invenzione. L’esito evidente di questa duplice condanna sta nella tabuizzazione della parola «razza» che, divenuta sospetta, viene sistematicamente evitata e non compare se non tra virgolette, in modo da prenderne distanza. Non è un caso che ben pochi
ammettano di essere «razzisti».
Questo vorrebbe dire forse che il razzismo non esiste più? Che si tratta di un fenomeno del passato, definitivamente superato, di cui riaffiora talvolta qualche «rigurgito»? In tal caso sopravvivrebbe solo in qualche frangia di estrema destra o in qualche marginale gruppo suprematista, che sono alla fin fine privi di un’effettiva influenza all’interno della società democratica.
Purtroppo, però, le cose non stanno così. Il razzismo può convivere con la democrazia; si riadatta facendo leva sull’indifferenza, la noia, l’ignoranza. È una violenza a bassa intensità, talvolta ilare, spensierata, e non meno crudele, che prende di mira i più deboli, gli immigrati, gli stranieri, i poveri, i senzatetto, i disabili, i diversi. Si fa finta di credere che gli atti perpetrati siano inoffensivi e si resta risentiti quando vengono riconosciuti come odio. Battute, allusioni, insinuazioni, lapsus, sottintesi, che esprimono, però, l’oscura voglia di umiliare e possono facilmente sfociare nella violenza aperta.

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