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La prima volta di un pontefice al vertice G7 non ha deluso le attese

NELLO SCAVO

In un solo giorno Papa Francesco ha dialogato con i capi di Stato di Paesi che contano oltre 2,3 miliardi di abitanti, quasi un terzo della popolazione della terra. Non tutti in sella, viste le recenti batoste elettorali incassate dal francese Macron, dal tedesco Scholz, fino a all’inglese Sunak e a Biden che si gioca la rielezione. E davanti a ciascuno Francesco ha percorso con le sue parole un atlante delle disuguaglianze lungo due direttrici opposte: la «cultura dell’incontro» come antidoto alla «cultura dello scarto». I colloqui si sono prolungati ben oltre il programma, con il pontefice che dopo alcuni scambi con il presidente turco Erdogan solo in tarda serata ha concluso i bilaterali con il presidente brasiliano Lula e l’americano Biden, dopo avere affrontato le leadership di quattro continenti. E davanti all’Occidente che affronta «l’eclissi del senso dell’umano», il Papa ha ricordato i nuovi rischi di «ingiustizia fra nazioni avanzate e nazioni in via di sviluppo, fra ceti sociali dominanti e ceti sociali oppressi».

Temi tornati nell’incontro con il presidente americano, durato un’ora, cui il Papa ha fra l’altro ribadito le preoccupazioni per le crisi internazionali, dall’Ucraina a Gaza. Non è da escludere che si sia fatto riferimento anche al continente africano, come ribadito nel corso del bilaterale con il presidente keniota Ruto. A Nairobi, infatti, si stano svolgendo i colloqui per il Sud Sudan.

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I Vescovi pugliesi ai Capi di Stato del G7: «Serve speranza, siate audaci!». Lettera aperta.

I VESCOVI DI PUGLIA

In occasione del vertice del G7 che si tiene a Borgo Egnazia, nel comune di Fasano in Puglia, da giovedì 13 a sabato 15 giugno, e al quale interverrà anche Papa Francesco, i Vescovi della Chiesa Cattolica di Puglia hanno scritto una lettera aperta ai Capi di Stato dei Paesi del Gruppo, Italia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti d’America. Ecco il testo del messaggio.

«C’è bisogno di Speranza, siate audaci!»

Nella consapevolezza della portata storica di questo evento che vi vede ospiti nella nostra terra, desideriamo porgere il nostro benvenuto insieme a quello di tutte le comunità ecclesiali di Puglia. Ci rallegra sapervi insieme al nostro caro Pontefice, Papa Francesco, che salutiamo con gioia e amore di figli. Anche per questo è un evento storico.

Due immagini ci piace consegnarvi alla vigilia dell’incontro di cui siete protagonisti in questa bella terra di Puglia: quella dell’ulivo e quella dei muretti a secco delle nostre campagne.

La prima, scelta dal Governo italiano, dice la forza e il radicamento secolare di una natura che ha da sempre costituito la ricchezza di questa parte d’Italia. La seconda racconta la paziente e operosa interazione dell’umano con quanto l’ambiente ha saputo donare per la crescita e il sostentamento di ciascuno.

Due immagini simboliche ed efficaci che, al di fuori di ogni retorica, provocano nell’intimo e aiutano a cogliere la bellezza e la storia di un popolo, quello pugliese, che ha saputo fare di questa terra uno spazio accogliente da vivere nell’armonia della fraternità, aperto alle culture e ai popoli.

Come Pastori della Chiesa Cattolica, cogliamo l’importanza del Vostro incontro come opportunità per segnare un nuovo passo che migliori l’esistenza dell’intera umanità.

A voi, che siete responsabili della vita di tanti, chiediamo con accorata forza il coraggio di non retrocedere dinanzi alle sfide del momento che vedono nella Pace e nella Crescita Sostenibile le coordinate imprescindibili di un cambio di paradigma, di cui tutti avvertiamo la necessità.

Questa nostra terra di Puglia, con la sua millenaria cultura civile e religiosa, esprime da sempre la vocazione a essere ponte tra i popoli del Mediterraneo, “arca di Pace e non arco di guerra”, spazio di accoglienza e inclusione e non frontiera inaccessibile e inospitale.

I problemi della nostra gente sono le fatiche dell’umanità. Ai nostri giovani manca il futuro che noi adulti abbiamo rubato loro. Abbiate a cuore il bene di tutti, sapendo valicare i confini del presente e gli interessi di parte.

C’è bisogno di Speranza, siate audaci!

Aprite varchi alla giustizia sociale, a una reale e fattiva custodia del creato, alla salvaguardia dell’umano, sapendo garantire a tutti l’accesso universale ai servizi essenziali per una vita che sia dignitosa per ciascuno. Siate audaci nel cercare e promuovere la Pace per tutti. I profumi della terra, il sapore dei cibi che gusterete, la bellezza del cielo e lo sguardo aperto sul mare allietino i Vostri giorni e diano slancio ai Vostri cuori.

Nelle nostre celebrazioni non manca la preghiera per le Autorità civili di ogni ordine e grado. In questi giorni pregheremo particolarmente per voi e per il bene dell’umanità tutta.

I Vescovi della Chiesa Cattolica di Puglia

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Costruire una societàpiù giusta e più umana

PAPA FRANCESCO

L’invito a mettere da parte indifferenza e paura per camminare insieme  sul sentiero della fraternità  Famiglia, speranza e pace: sono le tre parole guida affidate dal Papa ai nuovi ambasciatori di Etiopia, Zambia, Tanzania, Burundi, Qatar e Mauritania, ricevuti stamani, 8 giugno, nella Sala Clementina, in occasione della presentazione delle lettere credenziali. Pubblichiamo il discorso del Pontefice.

Eccellenze! Con piacere vi do il benvenuto in occasione della presentazione delle Lettere con cui venite accreditati come Ambasciatori Straordinari e Plenipotenziari presso la Santa Sede per i vostri Paesi: Etiopia, Zambia, Tanzania, Burundi, Qatar e Mauritania. Vorrei chiedervi di trasmettere cortesemente ai vostri rispettivi Capi di Stato i miei saluti e i miei sentimenti di stima, assieme all’assicurazione del mio ricordo nella preghiera per loro e per i vostri concittadini.

Nel momento in cui assumete i vostri incarichi, vorrei che riflettessimo brevemente su tre parole che possono esservi di guida nel vostro servizio: famiglia, speranza pace.

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L’abbraccio fra l’israeliano e il palestinese. «Ascoltare il dolore per fermare le guerre»

VIVIANA DALOISIO e ANTONELLA MARIANI

L’Arena di Verona si ferma, in un silenzio surreale. Il momento è il più toccante in assoluto, nel senso fisico del termine: la storia di Maoz e Aziz, israeliano e palestinese, che venerdì abbiamo raccontato sulle pagine di Avvenire, scuote tutti quanti, fa accapponare la pelle, riempie gli occhi di lacrime. «I miei genitori sono stati uccisi il 7 ottobre da Hamas», racconta Maoz. «Mio fratello è stato ucciso subito dopo dai soldati israeliani», gli fa eco Aziz. Sono stretti l’uno all’altro, si tengono la mano, le alzano unite insieme: si sorreggono in un dolore indicibile, che sul palco davanti al Papa e ai diecimila e più dell’Arena in un istante materializza lo strazio della guerra in Medio Oriente e l’abbraccio che può farla finire.

Francesco è visibilmente commosso, passa i fogli al vescovo di Verona, Domenico Pompili, che gli siede a fianco, e inizia a parlare piano: « Davanti alla sofferenza di questi due fratelli, che è la sofferenza di due popoli, non si può dire nulla. Loro hanno avuto il coraggio di abbracciarsi e questo non solo è coraggio e testimonianza di volere la pace, ma anche è un progetto di futuro. Abbracciarsi». Non finisce così: Maoz e Aziz gli vanno incontro timidi (la scaletta non lo prevede), il Papa si alza lentamente per abbracciarli davvero, come un padre farebbe con due bambini dopo una lite. Il silenzio del pubblico si scioglie in un applauso infinito: eccola la pace possibile, eccolo l’abbraccio che cambia il mondo.

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Il Papa: nel pianeta in fiamme, il nostro no alla guerra e il sì alla pace

CARLO MARRONI

Il meeting. Francesco ai partecipanti all’iniziativa della Fondazione Fratelli tutti: «Non abbiamo imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli»

Il Papa lancia l’appello: «In un pianeta in fiamme, vi siete riuniti con l’intento di ribadire il vostro “no” alla guerra e “sì” alla pace, testimoniando l’umanità che ci unisce e ci fa riconoscere fratelli, nel dono reciproco delle rispettive differenze culturali». Ieri Bergoglio ha ricevuto in udienza i partecipanti al Meeting Mondiale sulla Fraternità Umana organizzato dalla Fondazione Fratelli tutti, un evento che affronta la drammaticità dei tempi attuali, scossi da guerre: «Mi vengono alla mente – dice Francesco – le parole di un celebre discorso di Martin Luther King, quando disse: «Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli» (Discorso in occasione del conferimento del Premio Nobel per la Pace, 11 dicembre 1964, ndr).

Sì, è proprio così. E allora ci domandiamo: come possiamo, concretamente, tornare a far crescere l’arte di una convivenza che sia davvero umana?». E aggiunge: «Vorrei riprendere l’atteggiamento-chiave proposto in Fratelli tutti: la compassione. Nel Vangelo di Luca, Gesù racconta di un samaritano che, mosso da compassione, si avvicina a un giudeo che dei briganti hanno lasciato mezzo morto sul bordo della strada. Guardiamo questi due uomini. Le loro culture erano nemiche, le loro storie diverse e conflittuali, ma uno diventa fratello dell’altro nel momento in cui si lascia guidare dalla compassione che prova per lui – potremmo dire: si lascia attrarre da Gesù presente in quell’estraneo ferito.

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“La guerra é un inganno, una sconfitta”

PAPA FRANCESCO, Discorso ai partecipanti “World Meeting on Human Fraternity”

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Vi do il benvenuto. Vi ringrazio di essere qui, provenienti da molte parti del mondo, per il Meeting mondiale sulla fraternità umana. Ringrazio la Fondazione Fratelli tutti, che si propone di promuovere i princìpi esposti nell’Enciclica, «per suscitare intorno alla Basilica di San Pietro e all’abbraccio del suo colonnato iniziative legate alla spiritualità, all’arte, alla formazione e al dialogo con il mondo» (Chirografo, 8 dicembre 2021).

In un pianeta in fiamme, vi siete riuniti con l’intento di ribadire il vostro “no” alla guerra e “sì” alla pace, testimoniando l’umanità che ci unisce e ci fa riconoscere fratelli, nel dono reciproco delle rispettive differenze culturali.

In proposito, mi vengono alla mente le parole di un celebre discorso di Martin Luther King, quando disse: «Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli» (Martin Luther King, Discorso in occasione del conferimento del Premio Nobel per la Pace, 11 dicembre 1964). È proprio così. E allora ci domandiamo: come possiamo, concretamente, tornare a far crescere l’arte di una convivenza che sia davvero umana?

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“Pace, Giustizia e Istituzioni per lo Sviluppo Sostenibile”

SERGIO MATTARELLA, Presidente Repubblica Italiana

Riportiamo di seguito il Discorso pronunciato Lunedì 6 maggio a New York in apertura dei lavori al Palazzo di Vetro, della Conferenza sullo stato di attuazione dell’obiettivo di sviluppo sostenibile 16 “Pace, Giustizia ed Istituzioni per lo Sviluppo Sostenibile”. L’evento è stato organizzato dalla Rappresentanza permanente d’Italia presso le Nazioni Unite, dal Segretariato dell’Onu e dall’Idlo (International Development Law Organization), nell’ambito dell’Agenda Onu 2030.

Signora Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite,
Signor Sottosegretario Generale per gli Affari Economici e Sociali,
Signora Direttrice Generale dell’Organizzazione Internazionale di Diritto per lo Sviluppo,
Signore e Signori,
 

sono molto lieto di aprire i lavori di questo incontro su “Pace, Giustizia e Istituzioni per lo Sviluppo Sostenibile”, dedicato all’Obiettivo 16 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Ringrazio i Rappresentanti dell’Onu e dell’Organizzazione Internazionale di Diritto per lo Sviluppo per aver lavorato a questo evento, che si tiene per la prima volta qui a New York, dopo le precedenti edizioni svoltesi in Italia. Rivolgo un saluto a tutti i partecipanti, rappresentanti di governi, delle organizzazioni internazionali, delle istituzioni giudiziarie, delle università, della società civile, inclusi in particolare giovani e donne, impegnati nella promozione di società pacifiche e inclusive, di sistemi giudiziari equi e di istituzioni efficaci, responsabili e trasparenti.

Pace, inclusione, giustizia, sono capisaldi irrinunciabili per lo sviluppo sostenibile di ogni Paese e di ogni società, e mi piace sottolineare come siano principi portanti anche dell’ordinamento costituzionale italiano. L’esistenza di un sistema di tutele e di garanzie giuridiche è pre-condizione al godimento dei diritti della persona e, appunto, per lo sviluppo umano, inteso nel suo senso più alto. Si tratta di fondamenti riaffermati dalla stessa Carta delle Nazioni Unite, che sin dal suo preambolo ha enunciato l’impegno “a creare le condizioni in cui la giustizia e il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti” e “a promuovere il progresso sociale e un più elevato tenore di vita in un contesto di accresciute libertà”.

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“Per la pace. Le risorse della diplomazia umanitaria”

MATTEO ZUPPI

Pubblichiamo il testo della Lectio magistralis “Per la pace. Le risorse della diplomazia umanitaria” tenuta il 29 aprile 2024, presso il Polo di Gorizia, dal Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, in occasione dei 50 anni del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, nel Centenario dell’Università degli Studi di Trieste.  

Premessa
Ringrazio di cuore di questa opportunità. Parlare è sempre un modo per approfondire, capire meglio, cercare nuove risposte a sfide che cambiano continuamente. Poterlo fare da questa città che porta le cicatrici della guerra, della divisione e allo stesso tempo anche la consapevolezza che la conoscenza supera tutti i muri. Le frontiere non sono mai ermetiche, ma porose, attraversate come sono da una fraternità che le supera, perché questa non può conoscere muri. L’Università poi è proprio per sua natura indispensabile strumento per capire nel profondo, per superare i muri andando alle cause profonde, quelle che poi possono unire, se risolte. Non c’è pace senza questa comprensione.

Qui avete sempre imparato a parlare tante lingue, indispensabili per conoscersi per davvero. Occorre preparare la pace, perché altrimenti non si prepara che la guerra e questa porta alla guerra, non alla pace. C’è bisogno di preparare le nostre persone alla pace, altrimenti non la sappiamo cercare. Tra le preparazioni della pace c’è senz’altro anche la giustizia e quella riparazione che è il perdono e un incontro che sani le ferite profonde, rimuova l’odio, disarmi le mani e i cuori.

Infine una considerazione sull’importanza della diplomazia. Ne abbiamo un enorme bisogno. Un diplomatico cercherà sempre di trovare una via di uscita ai problemi, non si arrende, perché è il suo mestiere, ma anche perché c’è sempre una via di uscita. La politica deve ascoltare i diplomatici e voi farlo come umanitari, perché solo se c’è una visione alta e una conoscenza profonda la diplomazia può capire le situazioni e quindi anche le soluzioni. L’umanitario svolge anche una grande opera di diplomazia, che non è parallela, ma di collaborazione. Questa è stata la “formula italiana” come disse Boutros Boutros Ghali in occasione della firma degli Accordi di pace per il Mozambico nel 1992, capaci di usare l’istituzionale (il governo italiano e anche gli osservatori inclusi nel negoziato successivamente per una migliore applicazione dello stesso) e il non governativo (la Comunità di Sant’Egidio), il formale l’informale, in un’alleanza virtuosa.

Vi auguro di diventare diplomatici pieni di umanità, di professionalità. Perché sappiamo fare funzionare le istituzioni, specie quelle sovranazionali, ma anche valorizzare il ruolo della diplomazia umanitaria. Preparare la pace significa anche le difese di questa, compresa la stessa difesa, che però è dentro il mantenimento della pace e non l’erede del Ministero della Guerra! Questa è ripudiata e non rimettere in discussione il ripudio vuol dire cercare gli strumenti indispensabili internazionali, multilaterali per i quali dobbiamo interrogarci se serve perdere sovranità o per rinnovarli e renderli efficaci.

Tra questi anche l’Europa. È possibile non avere una politica estera unita e di conseguenza una Difesa e dei Servizi di Sicurezza unici, centrali e locali, ma unitari?  Tutto può cambiare, ma per cambiare dobbiamo aspettare la tempesta della guerra che, purtroppo e a che prezzo, costringe a decisioni nuove? Non possiamo cambiare consapevolmente evitando le tragedie militari?

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Spesa militare e industria delle armi in Europa e in Italia. Report 2024 “Arming Europe”

CARLO ROVELLI

Greenpeace, la rete internazionale con tre milioni di sostenitori e uffici in 55 paesi, e Sbilanciamoci!, campagna che raccoglie 50 associazioni, entrambe impegnate su ambiente, solidarietà e pace, hanno realizzato un volume dedicato all’economia delle armi, che raccoglie la traduzione italiana del rapporto di Greenpeace «Arming Europe» sugli effetti della spesa militare in Italia e in Europa, e contributi di numerosi esperti sull’argomento. L’ebook è scaricabile gratuitamente dal 2 maggio 2024 sul sito Sbilanciamoci.info. Questa è la prefazione di Carlo Rovelli al libro.

Penso che ci troviamo su una china molto pericolosa. L’«Orologio dell’Apocalisse», la valutazione periodica del rischio di catastrofe planetaria iniziata nel 1947 dagli scienziati del Bulletin of the Atomic Scientists, non ha mai indicato un livello di rischio alto come ora. Le tensioni internazionali sono cresciute bruscamente.

Tanti governi moltiplicano forsennatamente le spese militari. Si parla apertamente di possibile guerra atomica. Si parla apertamente di possibile guerra fra NATO e Russia in Europa. C’era un tempo in cui i leader mondiali, da Clinton a Gorbachev, da Mandela ai politici che hanno fermato la guerra civile in Irlanda, pensavano in termini di «risolvere i problemi senza spargere sangue». Oggi i politici parlano in termini di «vincere e abbattere il nemico, non importa se costa spargere sangue». Queste sono le parole che vengono pronunciate sempre più spesso a Washington come a Tel Aviv, a Mosca come a Berlino. Un esasperato nazionalismo si diffonde in vari paesi del mondo, dall’India agli Stati Uniti, e cresce un po’ ovunque. La demonizzazione reciproca si è impennata: nelle narrazioni di molti paesi, «gli altri leader» vengono dipinti come criminali pazzi e pericolosi, in perfetta simmetria.

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Immanuel Kant, nel tricentenario della nascita. La pace come progetto filosofico

ANITA PRATI

Il 22 aprile 1724 nasceva a Königsberg, in Prussia, Immanuel Kant, uno dei giganti della storia della filosofia universale. Sollecitata da questo significativo tricentenario e dal bisogno di coltivare argini di pensiero contro le ondate di bellicosità e militarismo che salgono virulente da ogni parte del mondo, sono tornata a rileggere un piccolo saggio kantiano intitolato Per la pace perpetua, pubblicato in edizione tascabile da Rizzoli nel 2003 a cura di Laura Tundo Ferente, Professoressa Ordinaria di Filosofia Morale, Antropologia Filosofica e Bioetica presso l’Università del Salento.

La pace come progetto filosofico

Kant pubblicò Per la pace perpetua nel 1795, a ridosso di quel decennio 1781-1790 in cui il suo pensiero aveva toccato vertici di assoluto rigore con le tre opere fondamentali, Critica della ragion puraCritica della ragion pratica e Critica del giudizio.

La riflessione sulla necessità della pace prendeva le mosse dalla rilettura di due eventi cruciali della contemporaneità, la Rivoluzione americana e la Rivoluzione francese. Nate in un alveo di conflittualità violenta, entrambe queste due rivoluzioni avevano avuto come esito delle solenni affermazioni di principio: la Dichiarazione d’Indipendenza e la promulgazione della Costituzione federale, negli Stati Uniti d’America; la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, in Francia.

Per Kant, ciò veniva a dimostrare, su un piano propriamente storico, che i popoli coltivano sempre idee di libertà e di giustizia e che ambiscono a tradurre queste idee in forme storico-politiche concrete. La questione dell’utilità e necessità della pace fra gli Stati aveva già impegnato diversi pensatori, mossi prevalentemente da una sensibilità di tipo religioso, e Kant era consapevole del fatto che le considerazioni di carattere pacifista erano state generalmente accolte con indifferenza o derisione.

Perciò, nel breve e intenso saggio Per la pace perpetua, il filosofo rilancia l’idea della pace sulla base dell’imperativo etico del dovere, presentando la pace non come un sogno utopistico e buonista, ma come un valore storico universale, un principio in grado di indicare alla ragione uno scopo che, per quanto mai completamente raggiungibile in sé, si propone sempre come compito da perseguire.

Zum ewigen Frieden. Ein philosophischer Entwurf von I. Kant: questo il titolo originario. La pace perpetua è per Kant un vero e proprio philosophischer Entwurf, un progetto filosofico.

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