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Covid-19. A che punto siamo? Lo stato dell’arte tra varianti del virus, vaccinazioni, terapie orali

Agenzia DIRE – Redazione

Virologi, epidemiologi e infettivologi italiani presenti al 14° ICAR – Italian Conference on AIDS and Antiviral Research, fanno il punto sullo stato dell’arte del Covid-19, con alcune previsioni.

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 A due anni e mezzo dal primo focolaio di infezione causato dal virus SARS-CoV-2 in nord Italia, quattro pesanti ‘ondate’ pandemiche, lockdown, quarantene, mascherine e una lunga, ma non troppo, sequenza di varianti virali, ultima in ordine cronologico BA5, sub-variante di Omicron, la più contagiosa in assoluto fino ad oggi, virologi ed epidemiologi di tutto il mondo prospettano in un futuro non troppo lontano il passaggio dalla pandemia all’endemia, una condizione in cui il virus SARS-CoV-2 e le sue contagiose varianti saranno stabilmente presenti e circoleranno nella popolazione, manifestandosi con un numero di casi più o meno elevato ma uniformemente distribuito nel tempo. Insomma, seppur con ciclicità stagionali e riuscendo a tenerlo sotto controllo in termini di ricadute sul sistema sanitario, il Covid-19 imparerà a convivere con noi e noi con lui, come ha spiegato in un ampio articolo apparso di recente sulla rivista scientifica Science la scienziata americana Jennie Lavine. A che punto è la pandemia? Cos’è successo in questi ultimi due anni e mezzo e cosa ci prospetta il futuro? È presto per parlare di evoluzione della pandemia in endemia? E qual è lo stato dell’arte delle terapie farmacologiche e vaccini? Virologi, epidemiologi e infettivologi italiani presenti al 14° ICAR – Italian Conference on AIDS and Antiviral Research, fanno il punto sullo stato dell’arte del Covid-19, con alcune previsioni.

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Pandemia. Con Omicron si riapre la lotta al virus

WALTER RICCIARDI

E siamo a tre varianti in meno di un anno: l’incapacità di alcuni governi (purtroppo anche nella nostra Europa) di comprendere le lezioni di questi due anni sia sul piano interno sia nella lotta globale al Covid-19 ha favorito l’emersione di virus sempre più contagiosi. Continuare così può significare pregiudicare i sacrifici compiuti, peggiorando le prospettive future. Dopo Alfa e Delta, infatti, ecco Omicron. Anche prima del suo arrivo sapevamo che i mesi invernali sarebbero stati durissimi, perché Delta aveva già cambiato le carte in tavola con il suo elevatissimo livello di contagiosità, ma Omicron, se non agiamo con decisione, con le sue capacità di eludere l’immunità, potrebbe trasformare l’onda epidemica invernale in un vero e proprio tsunami.

A luglio, prima dell’avvento di Delta, il direttore dei Cdc americani Rochelle Walensky aveva annunciato che il Covid era diventato «una pandemia di non vaccinati». L’evoluzione epidemiologica ci costringe ora a ridefinire questa affermazione: con Delta, e ancor più con Omicron, i cittadini non vaccinati pagheranno sicuramente il prezzo più alto nei mesi a venire, ma i rischi sembrano ora essere aumentati per tutti. L’oltre 80% degli italiani che sono completamente vaccinati potrebbe presto scoprire che la situazione deve essere riconsiderata anche per loro. Per gran parte dell’estate e dell’autunno, a coloro che avevano ricevuto due dosi di AstraZeneca, Pfizer o Moderna o un’iniezione di Johnson & Johnson è stato correttamente detto che erano protetti dai rischi più gravi, specialmente se erano giovani e sani. Adesso le cose stanno cambiando e lo leggiamo nei dati preliminari che arrivano dal Sudafrica e dal Nord Europa.

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