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Tre antidoti democratici contro l’odio e la paura

MAURO MAGATTI

I segnali che indicano il generale riorientamento del clima psicosociale contemporaneo sono numerosi e, purtroppo, convergenti. L’elenco è impressionante: il fondamentalismo ha contagiato tutte le grandi matrici religiose, arrivando a giustificare la violenza e il sostegno del terrorismo; il razzismo e l’antisemitismo riemergono e risuonano persino nel cuore delle società più avanzate, a partire da quella americana e tedesca; l’odio sociale circola abbondantemente nei social, alimentando risentimento e hate speech; in sistemi politici molto diversi sono al potere «uomini forti», cinici disincantati che non hanno remore nel calpestare le leggi e il diritto internazionale; infine, la moltiplicazione dei focolai di guerra rischia di saldarsi in un unico grande conflitto globale con a tema la riscrittura dell’ordine mondiale.

Il mondo sembra scivolare lungo un piano inclinato, preso dal vortice di potenti forze irrazionali che imprigionano l’inconscio collettivo. Viviamo un momento storico in cui la ragionevolezza stenta a offrire un punto di appoggio sufficiente per affrontare le tensioni esistenti.

Quello che sembra evidente è che l’interesse economico e l’innovazione tecnologica non bastano per governare la complessità: il contraltare della liberazione del desiderio individuale su scala globale — un successo straordinario della fase storica alle nostra spalle — è oggi il contagio della paura, del risentimento, dell’odio. Che si risolve poi nella logica, arcaica ma sempre efficace, dello schema amico-nemico: semplificando la realtà e parlando all’emotività, l’identificazione di un nemico (interno e/o esterno) è la via più semplice per assorbire e scaricare a terra la tensione accumulata.

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«Questa è la stagione dell’odio sociale. Comunità a rischio, serve un pensiero»

STEFANO ZAMAGNI, intervistato da DIEGO MOTTA

Zamagni e la violenza contro gli “invisibili”: oggi il povero non è visto semplicemente con sentimenti di indifferenza e ostilità. È percepito come altro da sé e ciò porta a compiere azioni contro i fragili.

Non è più paura, non è nemmeno disprezzo del povero. «Sta accadendo molto peggio: siamo ormai in presenza di odio sociale». Nel 2019, Stefano Zamagni non aveva esitato a parlare con Avvenire di «aporofobia»: erano i tempi dell’offensiva contro il Terzo settore, della criminalizzazione della solidarietà voluta anche a livello istituzionale. Cinque anni dopo, l’intellettuale bolognese che ha guidato la Pontificia accademia delle scienze sociali, ricostruisce lo scenario attuale in modo ancora più diretto, guardando all’Italia e all’Europa. «Oggi il povero non è visto semplicemente con sentimenti di indifferenza e ostilità. È percepito come altro da sé da una parte dell’opinione pubblica e questo porta a compiere azioni contro la persona fragile». Sullo sfondo c’è la violenza gratuita contro gli ultimi, siano essi migranti, disabili, senza dimora, detenuti: la cronaca è piena, quotidianamente, di fatti che rimandano al desiderio di supremazia di pochi prepotenti verso i più deboli, di persone escluse o nascoste, di dimenticati che rivendicano il diritto ad esistere, mentre il dibattito pubblico tende a relegare tutto questo nelle periferie, esistenziali e mediatiche. Così, nei bassifondi della nostra scala sociale, si avverte avanzare un senso di disumanità che preoccupa per le conseguenze possibili.

Professor Zamagni, si moltiplicano gli “invisibili”. Eppure si fa finta di non vedere o, peggio, si cerca di negare qualsiasi emergenza sociale per non creare allarme nell’opinione pubblica. Perché questa ostilità verso il povero?

Siamo abituati a parlare di povertà come di un fenomeno legato al reddito, ma la povertà è anche emarginazione, indifferenza. Con l’aporofobia eravamo al disprezzo degli indigenti, adesso siamo all’odio sociale, un fenomeno mai visto prima a queste latitudini. Odio e violenza hanno un’origine comune e questo spiega ciò che sta succedendo in questa epoca storica. L’odio sociale ha un inizio, 30 anni fa, quando in America nasce anche nel mondo universitario una corrente di pensiero che poi approderà in Europa e nel nostro Paese: si tratta del singolarismo.

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