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Scuola e integrazione per far crescere il Paese

CHIARA SARACENO

Nelle sue «osservazioni finali» il governatore della Banca d’Italia ha sollevato diversi punti che riguardano la sostenibilità e efficacia dell’architettura economica dell’Unione Europea nell’attuale contesto internazionale di cui, purtroppo, non si trova traccia nella sgangherata campagna elettorale di queste settimane. Nulla sanno gli elettori su quale linea i diversi partiti e candidati hanno, ad esempio, rispetto al rafforzamento del mercato unico, all’opportunità di avviarsi verso un unico mercato dei capitali, alla realizzazione di un effettivo bilancio unico europeo. Il governatore ha anche presentato un’analisi della situazione economica dell’Italia dove, accanto all’apprezzamento della capacità di ripresa dimostrata sul piano occupazionale, delle esportazioni e del Pil, rimangono problemi rilevanti che, se non adeguatamente affrontati, rischiano di condurre a una stagnazione. Il primo riguarda i bassi salari, che sono inferiori di un quarto a quelli di Francia e Germania.

Ciò è in parte legato alla stagnazione della produttività, che non dipende dalla scarsa voglia di lavorare dei lavoratori, ma dalla scarsità di investimenti in istruzione e formazione, anche in costanza di lavoro, da un lato, in ricerca e innovazione dall’altro. Il secondo problema nasce dal paradosso tutto italiano di una forte, e crescente, riduzione della popolazione in età attiva, con il rischio di una forte diminuzione del Pil, unita ad un basso tasso di occupazione sia giovanile sia femminile. Il tasso di occupazione nella fascia di età tra 20 e 34 anni, che nel 2007 era del 62,1%, era sceso al 49, 6 per cento nel 2014 e solo di recente è tornato ad aumentare, raggiungendo il 57, 8 per cento, 13 punti percentuali al di sotto della media europea, nonostante i giovani escano in media dal sistema formativo prima dei loro coetanei di altri paesi.

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