MAURIZIO AMBROSINI
Erano state 2.406 le morti accertate nel Mediterraneo nel 2022, e 2.062 nel 2021, senza che un’opinione pubblica distratta fosse disposta a versare qualche lacrima o, più ancora, a incrinare la leggenda di un Paese assediato da torme di migranti. Ma la tragedia di Cutro, a pochi metri dalle coste della Calabria jonica, ha finalmente scosso la coltre dell’indifferenza, obbligando tutti a guardare negli occhi la sorte di chi attraversa il mare con mogli e figli a rischio della vita. E obbligando a interrogarsi sui dispositivi di sorveglianza del mare e di salvataggio di chi è in pericolo.
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Sono quindi serie le questioni che s’intrecciano intorno al naufragio di Cutro e delle risposte politiche che il governo ha fornito, prima con la campagna anti-Ong, poi con la tardiva e teatrale convocazione del Consiglio dei Ministri nella cittadina calabrese il 9 marzo scorso.
Anzitutto, i numeri degli sbarchi smentiscono chiaramente il teorema secondo cui i profughi arriverebbero a causa della presenza delle navi umanitarie pronti a salvarli (i “taxi del mare”, o i “vice-scafisti”, secondo la crudele retorica sovranista). Le navi delle Ong nel 2022 hanno soccorso e sbarcato in Italia meno del 12% del totale delle persone arrivate via mare. Come si è scoperto nel caso di Cutro, gli altri arrivano o con i propri mezzi, oppure vengono tratti in salvo da Marina Militare e Guardia Costiera, a volte anche da comuni navi mercantili. Nel 2023, a decreto anti-Ong in vigore, a fine febbraio erano sbarcate in Italia 14.104 persone, contro 5.345 nel 2022 e 4.304 nel 2021. Dunque con meno navi umanitarie a presidiare il mare è arrivato il triplo dei profughi. Le ragioni delle partenze sono più complesse degli slogan. Basti pensare alla provenienza delle vittime di Cutro, quasi tutti afghani.
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