Archivi tag: Migrazioni

UNHCR: Presentato il nuovo Rapporto Global Trends sulle persone in fuga nel mondo

Il numero complessivo sale a 120 milioni a maggio 2024; i Paesi a basso e medio reddito ospitano il 75% dei rifugiati. I Paesi meno sviluppati hanno dato asilo al 21% del totale. Necessaria maggiore solidarietà e condivisione delle responsabilità.

Lo scorso anno le persone costrette alla fuga hanno raggiunto nuovi livelli storici in tutto il mondo, secondo quanto riportato nel Rapporto Global Trends del 2024 dell’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati.

Il numero complessivo di persone costrette alla fuga – che tocca i 120 milioni a maggio 2024[1] – è in crescita per il dodicesimo anno consecutivo e riflette sia i nuovi conflitti e quelli che mutano, sia l’incapacità di risolvere le crisi di vecchia data. La popolazione globale in fuga equivarrebbe a quella del dodicesimo Paese al mondo per ampiezza della popolazione, quasi come quella del Giappone.

L’anno scorso l’UNHCR ha risposto a un numero in netta crescita di crisi umanitarie nuove o in peggioramento, dichiarando 43 emergenze in 29 Paesi. Il più alto numero annuale di emergenze dichiarate degli ultimi dieci anni, quadruplicato nell’arco di soli tre anni.

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Migranti: da inizio anno sbarcate 4.441 persone sulle nostre coste.

Sono finora 4.441 le persone migranti sbarcate sulle coste da inizio anno. Nello stesso periodo, lo scorso anno furono 14.428 mentre nel 2022 furono 5.345. Il dato è stato diffuso dal ministero degli Interni, considerati gli sbarchi rilevati entro le 8 di questa mattina.
Nella giornata di sabato sono state 41 le persone registrate in arrivo sulle nostre coste che hanno fatto salire a 2.183 il totale delle persone arrivate via mare in Italia a febbraio. L’anno scorso, in tutto febbraio, furono 9.465, mentre nel 2022 furono 2.439.

Dei 4.400 migranti sbarcati in Italia nel 2024, 976 sono di nazionalità bengalese (22%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Siria (747, 17%), Tunisia (681, 15%), Egitto (496, 11%), Pakistan (244, 6%), Eritrea (214, 5%), Etiopia (174, 4%), Sudan (134, 3%), Guinea (109, 2%), Gambia (66, 1%) a cui si aggiungono 600 persone (14%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione.
Fino ad oggi sono stati 520 i minori stranieri non accompagnati ad aver raggiunto il nostro Paese via mare. Il dato è aggiornato ad oggi, 26 febbraio. I minori stranieri non accompagnati sbarcati sulle coste italiane lungo tutto il 2023 sono stati 17.862, 14.044 nel 2022, 10.053 nel 2021, 4.687 nel 2020, 1.680 nel 2019, 3.536 nel 2018 e 15.779 nel 2017.

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Migranti, verso un milione di studenti. «Cittadinanza? Legge da aggiornare»

ELISA CAMPISI

Rapporto Ismu 2023: sono oltre 872mila i ragazzi stranieri con background migratorio presenti in Italia, saliranno ancora. Blangiardo: norme pensate quando l’Italia non era un Paese di immigrazione.

Sono nati o cresciuti in Italia. Qui studiano, giocano e parlano come tutti i loro coetanei. Man mano che crescono però si accorgono di non avere le stesse opportunità e di dover superare molti più ostacoli degli altri a causa di un semplice particolare: i loro genitori sono stranieri, un fattore che ancora oggi determina diseguaglianze tra i cittadini nati italiani e i cosiddetti cittadini di seconda e terza generazione. In un contesto in cui complessivamente le acquisizioni di cittadinanza sono salite nel 2022 (sono stati infatti 214mila gli stranieri divenuti italiani contro i 121.457 dell’anno precedente) la vera sfida resta quella di garantire lo stesso diritto, quello a diventare italiani, anche alle generazioni di giovani migranti nel limbo, tanto più che i migranti nati in Italia con cittadinanza non italiana sono oltre due terzi.

Questi spunti di riflessione, da cui si potrebbe partire quando si parla del tema della cittadinanza, sono solo alcuni di quelli emersi ieri alla presentazione del XXIX Rapporto sulle migrazioni 2023, elaborato da Fondazione Ismu. «Il fatto che sia il 29esimo – ha spiegato Giovanni Azzone, presidente della Fondazione Cariplo al convegno – evidenzia che si tratta di un fenomeno strutturale e come tale va trattato. L’esito dipenderà da come viene interpretato e gestito».

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Migrazione. Pollicino a Lampedusa. La terribile e commovente storia di un bambino di tre anni

MASSIMO AMMANITI

Quantunque le favole abbiano perso la loro attrazione per i bambini, sostituite dai video divenuti ormai indispensabili, riuscivano a mettere in scena le paure e i terrori che turbavano le loro giornate e i loro sogni. Nella famosa favola di Perrault, Pollicino veniva allontanato dalla famiglia perché i genitori non riuscivano per la loro povertà ad allevare i sette figli e anche lui, che era l’ultimogenito, doveva sottostare a questo terribile destino. Pollicino sempre silenzioso riusciva a ritornare a casa lasciando nel suo percorso dei sassolini che gli indicassero la strada. La paura dell’abbandono da parte dei genitori segnava e segna la vita dei bambini che temono di essere abbandonati e andare incontro ad una vita disperata.

Ho fatto riferimento alla favola di Pollicino perché il suo destino si è riproposto per un bambino africano di tre anni arrivato in questi giorni in un barcone di migranti al porto di Lampedusa. Questo bambino, di cui ignoriamo il nome, è giunto a Lampedusa senza genitori accompagnato da un ragazzo africano, ancora minorenne, che ha raccontato la sua storia. In pieno deserto fra la Libia e la Tunisia questo ragazzo, che cercava faticosamente di raggiungere la costa africana, si era imbattuto in questo bambino che arrancava da solo ormai stremato. Preso a compassione il ragazzo, pur non avendo nessuna informazione sul bambino, chi fosse, come si chiamava, che lingua parlasse e dove fossero i suoi genitori, decise di occuparsi di lui e di portarlo con sé nella traversata del deserto.

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Mattarella: «Vi sono intere zone dove non è più possibile la sopravvivenza alimentare»

UGO MAGRI

Tipica imprecazione qualunquista era, un tempo, «piove governo ladro». Adesso accade il contrario: è la siccità che viene rinfacciata alla politica su scala mondiale. Al di là dei buoni propositi, non si sta facendo abbastanza contro i cambiamenti climatici. Il risultato è che se ne pagano le conseguenze a ogni latitudine, come ha segnalato Sergio Mattarella durante la sua visita a Nairobi. Da quelle parti ieri c’era maltempo e il capo dello Stato s’è rivolto speranzoso al suo ospite, il presidente William Ruto, augurandogli che finalmente il Kenya possa trovare un po’ di ristoro.

«Anche da noi in Italia, gli ha detto, avvertiamo un’esigenza di pioggia»; specie l’agricoltura soffre una carenza idrica di cui ancora non si vede fine. L’«abbassamento delle nevi sulle montagne» è un ulteriore aspetto di questo stesso fenomeno che nel nostro Paese si manifesta a volte in forme drammatiche, come è accaduto nel luglio scorso sulla Marmolada: «Non possiamo dimenticare quella tragedia in cui il ghiacciaio è crollato perché si va esaurendo», rammenta Mattarella. Allora si piansero 11 vittime; ma quante ne conta il continente africano dove la siccità costituisce una delle piaghe più dolorose? «Vi sono intere zone dove non è più possibile la sopravvivenza alimentare», denuncia il presidente, e la carestia provocata dal clima impazzito «spinge ulteriormente, comprensibilmente», sottolinea, «i flussi migratori».

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Migrazioni 2022. Rapporto ISMU

Milano, 1° marzo 2023. La Fondazione ISMU ETS stima che al 1° gennaio 2022 gli stranieri presenti in Italia siano poco più di 6 milioni[1]88mila in più rispetto alla stessa data del 2021. Il bilancio demografico mostra quindi una moderata ripresa della crescita della popolazione straniera in Italia. Diminuisce invece la componente irregolare, che si attesta sulle 506mila unità, contro le 519mila dell’anno precedente (-2,5%). Il calo degli irregolari è dovuto principalmente all’avanzamento delle pratiche relative alla sanatoria 2020.  Il 2021 segna un significativo aumento di nuovi permessi di soggiorno (circa 242mila, +127% rispetto all’anno precedente).

Sul fronte lavorativo, nel 2021 assistiamo a una crescita sia del tasso di attività degli stranieri sia del tasso di occupazione. Non migliorano invece i dati sulla povertà: nel 2021 quella assoluta interessa il 30,6% delle famiglie di soli stranieri, quasi quattro punti percentuali in più rispetto al dato rilevato nel 2020.

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Ritardi della politica di fronte a cambiamento climatico e migrazioni

MAURO MAGATTI

Il cambiamento climatico e i fenomeni migratori sono due grandi sfide ormai stabilmente ai primi posti dell’agenda politica del nostro tempo. Si tratta di questioni importanti che tuttavia gli assetti istituzionali di cui disponiamo faticano a governare a causa della loro evidente inadeguatezza. Da un lato, gli Stati nazionali, pensati su base territoriale (e su questa schiacciati), non possono risolvere da soli questioni che hanno una dimensione spaziale che li supera.

Dall’altro, l’infrastruttura internazionale – a cominciare dall’Onu, per passare da Fmi, Banca Mondiale e Wto – che riflette equilibri di fasi storiche ormai superate e non riesce a catalizzare gli interessi divergenti dei vari attori economici e politici rispetto ai grandi problemi globali.

Una impasse destinata ad aggravarsi, tenuto conto che le possibili soluzioni passano da complessi processi negoziali che per definizione hanno tempi ed esiti incerti. Come si è potuto constatare nelle ultime settimane con le fatiche delle ennesime Cop sul clima (la ventisettesima, tenutasi al Cairo) e sulla biodiversità (la quindicesima, in corso a Kunming). O con le tensioni che continuano a scuotere l’Europa in tema di arrivi via mare e via terra di richiedenti asilo. In questa situazione – che ragionevolmente è destinata a durare ancora a lungo – questioni globali come quelle che abbiamo nominato (e non sono certo le uniche) continueranno a incidere sugli umori dell’opinione pubblica. Contribuendo a determinare gli orientamenti politici e più in generale il clima sociale dei prossimi anni. Il tema del cambiamento climatico è rimasto nel retroscena per molto tempo, nonostante che già negli anni 70 del Novecento si sia cominciato a capirlo.

Ancora oggi, ci sono “irriducibili” che negano il nesso tra modello di sviluppo e aumento delle temperature. Tuttavia, nonostante il sostegno crescente attorno all’idea di sostenibilità, i cambiamenti necessari stentato a essere implementati.

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“Global risk”. Word economic forum (Wef) Report 2022.

IVAN MANZO

Il fallimento dell’azione climatica resta la più grande minaccia al nostro futuro

Nonostante siano trascorsi quasi due anni dallo scoppio della pandemia, per l’ultimo Global risks report del World economic forum (Wef) il virus non è la principale minaccia che il mondo sarà costretto ad affrontare nei prossimi anni. Secondo lo studio pubblicato l’11 gennaio, infatti, è sempre il cambiamento climatico il più grande rischio per la stabilità socio-economica globale. Nei primi cinque posti della “Top 10 global risks”, stilata dal Wef in base ai risultati dell’ultimo sondaggio “Global risks perception survey” (Grps) sui maggiori rischi dei prossimi 10 anni, le prime tre posizioni sono tutte occupate da problemi di matrice ambientale: seguono alla crisi climatica i danni generati dagli eventi estremi e quelli relativi alla perdita di biodiversità. Al quarto posto, invece, troviamo la graduale scomparsa di coesione sociale e al quinto la crisi dei mezzi di sussistenza, due elementi di disordine sociale anch’essi riconducibili a crisi ambientali. Gli effetti negativi legati alle malattie infettive sono “solo” al sesto posto. Chiudono la classifica altre due questioni legate alla gestione degli ecosistemi, cioè i danni all’ambiente generati dall’uomo e il depauperamento delle risorse naturali, poi crisi del debito e tensioni geopolitiche.

Il Grps è stato condotto su un campione di oltre mille intervistati, nell’ambito della rete del Wef fatta di accademici, imprenditori, uomini di governo, esponenti della società civile e “leader di pensiero”.

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Un’umanità sempre in cammino sulle strade del mondo

STEFANO ALLIEVI, intervistato da CLAUDIO PARAVATI

Torneremo a viaggiare: il libro sembra nato dalla necessità di pensare il mondo a partire dal Covid. Torneremo a viaggiare… perché ora ci siamo dovuti fermare! È questo il motivo del libro? Il bisogno di pensare, capire, quello che sta accadendo?

Ho progettato il libro in pieno lockdown, riflettendo su mobilità umana e migrazioni, temi che mi accompagnano da decenni. Il paradosso del Covid è stato questo: che abbiamo dovuto smettere di muoverci, e rinchiuderci in casa, perché si è messo a circolare lui, il virus, costringendoci all’immobilità. Ma l’essere forzosamente fermi è diventata la condizione ideale per riflettere sulla nostra normalità nomade. Da un lato ci siamo accorti di quanta mobilità inutile praticavamo: lo smart working (più semplicemente il lavoro da casa, non necessariamente smart), ha reso evidente l’inutilità di tanto pendolarismo e tanti viaggi per riunioni – una situazione da cui non torneremo più indietro. Ma venivamo anche da un periodo di accelerazione assurda del movimento di tutto: informazioni, denaro, merci, ma anche persone. Noi pensiamo solo alle migrazioni, ma ogni anno si frantumavano i record legati al turismo (che negli ultimi anni pre-Covid è cresciuto a ritmi superiori al commercio mondiale!), ai voli transnazionali (centomila di più all’anno in era pre-Covid), ci muovevamo di più per motivi legati al lavoro, al divertimento, alla cultura, o anche solo perché non sappiamo cosa fare, e ci sembra che andare altrove dia un senso al nostro tempo. Dall’altro l’impossibilità di muoversi ha reso evidente il nostro bisogno fisico e psicologico di farlo: e questo mi ha fatto molto riflettere sulla nostra propensione al nomadismo, nelle sue varie forme, e sui bisogni legati ad esso. La mia riflessione – riprendendo in mano la storia dell’umanità dalle origini, le teorie sociologiche sulla mobilità, fino ai libri di nomadi moderni come Chatwin – è partita da lì.

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I nuovi flussi di migranti: un problema per tutta la Ue

ROMANO PRODI

Da oltre vent’anni le migrazioni costituiscono uno dei problemi più importanti, se non il più importante, della politica interna di ogni Paese europeo. La così detta convenzione di Dublino, che affronta la realtà migratoria, è stata firmata quando il diritto d’asilo e la protezione internazionale non erano così prioritari. Essa si limita quindi a imporre solo sulle spalle del Paese di arrivo l’obbligo dell’assistenza dei migranti sul suolo europeo. Da allora nulla è cambiato nella legislazione, mentre tutto è cambiato nella realtà delle cose.

Il flusso dei migranti dal sud è progressivamente cresciuto e le guerre di Iraq e Siria ne hanno moltiplicato l’arrivo sulle coste italiane, greche e spagnole, mentre la sciagurata guerra di Libia ha aumentato il numero di trafficanti che lucrano sul commercio umano, con le autorità libiche che si dimostrano impotenti a controllare il fenomeno, quando addirittura non hanno partecipato a favorirlo. Da qui la continua crescita dei flussi migratori, il perpetuarsi delle quotidiane tragedie umane, il crescente ruolo dei trafficanti e l’impotenza della politica. Solo la Germania, dopo una drammatica emergenza, ha potuto arginare i siriani e gli iracheni in fuga dal loro Paese, ottenendo che essi fossero, e tuttora siano, bloccati dalla Turchia in cambio di cospicui versamenti di denaro. Questa asimmetria di situazioni fra Paesi del sud e Paesi del nord Europa ha sempre impedito la necessaria revisione della convenzione di Dublino, moltiplicando i problemi politici, economici e sociali di tutte le nazioni del Mediterraneo e minando profondamente il concetto di solidarietà europea.

In questo campo così delicato non si è assistito, almeno fino ad ora, ad alcun sostanziale miglioramento, nonostante le ripetute proposte della Commissione e del Parlamento Europeo. Mentre la situazione libica rimane ancora piena di incertezze, la crescita demografica, le difficoltà economiche e l’avanzata del terrorismo in tutto il Sahel (con prospettive davvero drammatiche) spingono ad un progressivo aumento del numero di disperati in fuga verso l’Europa. Disperati che non arrivano solo dai Paesi a Sud del Sahara, perché ad essi si sono aggiunti, e si aggiungono ancora, rifugiati provenienti dal Corno d’Africa, da diversi Paesi asiatici, oltre che, naturalmente, dalla Siria e dall’Iraq.

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