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Problemi e e sfide del mercato moderno del lavoro

LEONARDO BECCHETTI

Nell’era della crisi demografica, dello smart working e dell’intelligenza artificiale sono e saranno sempre di più i lavoratori (con le opportune competenze) e non i posti di lavoro a diventare scarsi. Il lavoro aumenterà ma il rischio è che molto di esso sarà ancora povero, precario e sfruttato.

L’ultima rivoluzione tecnologica, quella dell’intelligenza artificiale, sta rendendo sempre più Schumpeteriano l’orizzonte del sistema economico. Il tasso di distruzione e creazione di nuovi posti di lavoro, e persino di nuovi settori, accelera pesantemente. È per questo motivo che la politica del lavoro numero uno diventa quella della formazione continua e della riqualificazione di lavoratori, disoccupati ed esodati e che il diritto alla formazione va garantito nei contratti sindacali, profittando degli incentivi messi a disposizione su questa partita dai fondi europei.

Il mismatch (la compresenza di posti di lavoro vacanti e disoccupati) è e sarà l’altra grande caratteristica del mercato del lavoro del futuro. In Italia in questo momento ci sono centinaia di migliaia di posti di lavoro vacanti, mancano, tra l’altro, più di 50mila infermieri, tecnici nel green e nel digitale. La distanza tra disoccupati e posti di lavoro vacanti non è geografica ma di competenze e dunque formazione e riqualificazione sono ancora una volta centrali. I lavoratori italiani, in uno scenario demografico dove i baby boomer iniziano ad andare in pensione e non sono sostituiti da classi di giovani altrettanto numerose, non bastano e non basteranno. Per questo la proposta di introdurre il modello tedesco di formazione professionale per i richiedenti asilo (a carico prevalentemente delle imprese che lo farebbero volentieri) è un’ottima proposta.

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Lavoro. “Ripresa con il freno tirato a mano”. Rapporto Inapp 2023

INAPP, Comunicato stampa

Alla Camera dei Deputati è stato presentato oggi il Rapporto 2023 dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche. Dopo la crisi generata dalla pandemia il mercato del lavoro italiano ha ricominciato a crescere ma questo percorso appare “accidentato” dalle criticità strutturali che lo caratterizzano: bassi salari, scarsa produttività, poca formazione e un welfare che fatica a proteggere tutti i lavoratori, non avendo alcun paracadute per oltre 4 milioni di lavoratori ‘non standard’ dagli autonomi, a chi è stato licenziato o è alla ricerca di un’occupazione, passando per i lavoratori della gig economy fino ai cosiddetti working poors. In più sta emergendo sul fronte dell’utilizzo della forza lavoro il fenomeno del labour shortage: la difficoltà delle imprese a coprire i posti vacanti, allargandosi sempre più così la forbice del matching tra domanda e offerta di lavoro.

IL PROBLEMA DELLA QUESTIONE SALARIALE

Tra il 1991 e il 2022 – si legge nel Rapporto Inapp – i salari reali sono rimasti pressoché invariati, con una crescita dell’1%, a differenza dei Paesi dell’area Ocse dove sono cresciuti in media del 32,5%. In particolare, nel solo 2020 (terzo nell’anno della pandemia da Covid-19) si è registrato un calo dei salari in termini reali del -4,8%. In quest’anno si è registrata anche la differenza più ampia con la crescita dell’area Ocse con un -33,6%. Accanto a questo problema si è sviluppato anche quello della scarsa produttività: a partire dalla seconda metà degli anni Novanta la crescita della produttività è stata di gran lunga inferiore rispetto ai Paesi del G7, segnando un divario massimo nel 2021 pari al 25,5%.

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