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Una nuova resistenza di fronte all’imbarbarimento degli individui, della società, della politica

ENZO BIANCHI

Questi non sono tempi buoni, segnati da una convivenza che si nutra di fiducia reciproca, di speranza, dove la vita sociale sia contrassegnata dalla ricerca di legalità, giustizia, democrazia. Siamo testimoni di un involgarimento dei rapporti, di una rozzezza di chi detiene funzioni nelle istituzioni e della mediocrità che dilaga tra la gente. Non è un clima di leggerezza, ma di insostenibile pesantezza, deteriora la qualità della vita personale e sociale. A questa sonnolenza della responsabilità sociale sembra non sia possibile opporre uno sforzo educativo, una protesta. Si parla di resistenza, ma non si è capaci di una vera prassi di resistenza che necessita non solo di indignazione, ma di una insurrezione delle coscienze. L’involgarimento dilaga “nel popolo”, a tal punto da impedire che sia il soggetto della responsabilità. Ma solo la responsabilità può consentire il cammino verso la democrazia.

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#Fare

GIANFRANCO RAVASI

Questa cosa che bisogna fare, sono io che la devo fare. Forse qualcuno si stupirà pensando che abbia proposto una banalità con questa citazione. In realtà a scriverla è stato un importante filosofo francese, morto nel 1985 a 82 anni, Vladimir Jankélévitch, riconoscibile per il cognome come di origine familiare slava ed ebraica, autore tra l’altro di un importante Trattato delle virtù (1949). Questo suo motto è un’esortazione significativa che cerca di esorcizzare una tentazione che ha generato un comportamento sistematico, espresso in italiano con la pittoresca locuzione dello «scaricabarile».

Quante volte si levano alte lamentele contro l’inerzia della politica, la corruzione pubblica, il degrado urbano e così via, in una lunga litania di denunce, mentre nel proprio piccolo non si fa nulla per contrastare queste derive. Oscar Wilde ironizzava affermando che «il dovere è quello che ci aspettiamo dagli altri». Il miglior commento pratico al detto del filosofo l’ho trovato affisso anni fa in un comune lombardo: «Storia di quattro persone di nome: Ognuno, Qualcuno, Ciascuno, Nessuno. C’era un lavoro necessario da fare. Ognuno era sicuro che Qualcuno l’avrebbe fatto. Ciascuno avrebbe potuto farlo, ma Nessuno lo fece. Finì che Ciascuno incolpò Qualcuno perché Nessuno fece ciò che Ognuno avrebbe potuto fare».

in “Il Sole 24 Ore” del 30 gennaio 2022

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