LUIGI MANCONI
Nemmeno la vena più acida della satira politica più scellerata attribuirebbe al possibile avvento di un governo di destra la causa scatenante delle violenze che, negli ultimi giorni, si sono consumate ai danni di stranieri residenti in Italia. Lo sguardo, evidentemente, va indirizzato altrove. Al fatto cioè, che in Italia, mentre giornali e schermi televisivi riproducono le immagini di sbarchi più frequenti e massicci (ma assai inferiori a quelli del 2015) e dell’hotspot di Lampedusa ridotto in condizioni tragiche e pieno come un uovo, nel sistema mediatico e nel linguaggio domestico non circola alcun discorso pubblico sull’immigrazione.
O meglio: vi circola in prevalenza un senso comune colpevolizzante e stigmatizzante, che riduce lo straniero a figura criminale, a soggetto deviante, a fattore di disordine sociale. È accaduto così anche in occasione dell’assassinio di Civitanova Marche: “l’indifferenza” segnalata da molti si spiega, tra l’altro, col fatto che, per una quota rilevante di opinione pubblica, il cittadino nigeriano ucciso era parte costitutiva del degrado della vita urbana (accattonaggio, marginalità, extra-legalità): dunque, Alika Ogorchukwu, più e prima che vittima, era elemento e causa di quello stesso degrado. Ovvero correo della propria stessa morte. Molte le cause di questa falsa rappresentazione. Tra queste, come si è detto, la mancata elaborazione di un’idea e di un racconto (proprio non mi riesce di ricorrere allo stucchevole termine di “narrazione”) sull’immigrazione che siano razionali: e che diano conto di ciò che effettivamente è: una componente essenziale della nostra organizzazione sociale e dell’economia nazionale. In altre parole, oltre 5 milioni di stranieri regolarmente residenti e un contributo alla ricchezza nazionale corrispondente a 9-10 punti di Pil.
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