Archivi tag: Immigrazione

La fobia dello straniero nell’Italia che muore

LUCIO CARACCIOLO

Alla grande conferenza di Roma su sviluppo e migrazioni i governanti europei, a cominciare dai nostri, non parlano che di fermare i migranti irregolari. Comprensibile e persino commendevole, magari cominciando a rendere meno impossibile approdare in Italia e in Europa per via regolare, come assicura Meloni. Finora pare non si riesca a inventare nulla di meglio che finanziare regimi arabi mediterranei perché sbarrino la loro frontiera terrestre con l’Africa profonda, facendo leva sul diffuso disprezzo per i neri. Il caso tunisino è modello. Morire pugnalati nel Sahara come alternativa ad affogare nel Mediterraneo? Confidiamo che persuasione morale e incentivi economici del nostro governo nei confronti del presidente Saied – non più né meno dittatore di quasi tutti i suoi colleghi nordafricani – migliorino il clima a Sfax e dintorni.

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Grecia. Evros, il fiume della morte

LETIZIA TORTELLO

Le acque dell’Evros, al confine turco, trascinano i corpi gonfi di chi non ce la fa, passare di lì è l’unica via rimasta verso l’Europa, mentre Atene alza il suo muro.

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Cadavere A.1, cella 15. Quel che resta di un uomo è scritto su un foglietto bianco in plastica attaccato al fondo del sacco blu, dove ci sono i piedi: numero identificativo 1019/27/270. Non c’è nome, quell’uomo è “Nessuno”, mai nessuno saprà la sua storia o il nome del Paese in cui sognava di scappare. È annegato senza aiuti, perché non sapeva nuotare, nelle acque gelide tra Grecia e Turchia, quella porta di casa nostra verso cui tutti chiudono gli occhi. Il fiume Evros, trappola di morte. All’obitorio dell’ospedale pubblico di Alexandroupoli, il professor Pavlos Pavlidis è l’ultimo che li guarda in volto, questi fantasmi, migranti dimenticati, oggi per lo più giovani tra i 20 e i 25, in cerca di un lavoro.

«Questo era un ragazzo, lo ricordo», dice, aprendoci il frigo. Cadavere A.1 è steso lì da metà ottobre dell’anno scorso. È uno dei venti corpi senza vita di richiedenti asilo conservati nella struttura sanitaria. Andati a fondo con tutti i loro tanti vestiti uno sopra l’altro, perché sui gommoni di tre metri per tre condivisi con altre 10 persone, non si possono portare valigie. Giusto un borsello, una busta di plastica con sigarette, qualche euro, e medicine, un portafortuna. Il fiume li inghiotte. «Li troviamo anche dopo settimane», continua il medico legale. Gonfi da testa a piedi, sfigurati dall’acqua dolce e dai pesci, di molti non si legge neanche più il volto. Se “va di lusso”, hanno il giubbetto di salvataggio, ma non è servito a niente. Invece, quelli morti di ipotermia sì, li riconosci ancora, il freddo non gli ha cambiato i connotati. E poi ci sono gli effetti personali: una catenina, un braccialetto con il cuore e la bandiera della Siria, una pinzetta azzurra come quella che salta fuori dalle scatole che Pavlidis fa sbucare da sotto la scrivania. Appartenevano a una migrante di 12 anni, morta il 16 aprile scorso. Spogliandoli di quel che hanno addosso, è più facile procedere con il protocollo di identificazione: prima si fa la foto, poi si preleva il Dna, se si può le impronte digitali, per ricostruire il Paese di origine. A quel punto, si contatta l’ambasciata e si spera che qualche parente abbia seguito il viaggio e li abbia reclamati.

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Immigrazione. Noi italiani e l’accoglienza dell’altro

LUCIO CARACCIOLO e ANDREA RICCARDI

Testo di Lucio Caracciolo

Nella declinazione corrente in Italia, ma in genere in tutti i paesi europei e occidentali, “accogliere” è oggi verbo divisivo. Nella polemica “politica” riguardo alla coesione culturale e sociale della nostra comunità minacciata dallo straniero che varca la frontiera, questo termine è contestato. Intorno all’accoglienza o al respingimento si determinano schieramenti ideologici, quasi guerre di religione. La nazione “invasa” deve decidere se e chi accogliere, ovvero ammettere nel suo seno. Ammettere persone, con tutta la loro umanità, come ricordava lo scrittore svizzero Max Frisch descrivendo la reazione media nel suo paese all’arrivo dei Gastarbeiter italiani o variamente mediterranei: «Cercavamo braccia, sono arrivati uomini».

Fino a che punto siamo disposti ad accogliere uomini e donne d’un altro mondo? Diffuso il punto di vista di chi è più refrattario all’accoglienza, perché crede che l’accoglienza di allogeni – persone che non appartengono all’ambiente normalmente frequentato – metta in crisi il senso stesso della nazione in cui vive. Divide la comunità, vi scoperchia faglie, abissi di diffidenza. C’è addirittura chi sostiene che accogliere avvantaggi in prospettiva chi viene da fuori rispetto all’autoctono. E con ciò infici quel grado di presunta o effettiva pacifica convivenza che contribuisce a certificare l’identità della propria comunità.

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Immigrati. Il naufragio di Cutro e la doppia morale della retorica sovranista

MAURIZIO AMBROSINI

Erano state 2.406 le morti accertate nel Mediterraneo nel 2022, e 2.062 nel 2021, senza che un’opinione pubblica distratta fosse disposta a versare qualche lacrima o, più ancora, a incrinare la leggenda di un Paese assediato da torme di migranti. Ma la tragedia di Cutro, a pochi metri dalle coste della Calabria jonica, ha finalmente scosso la coltre dell’indifferenza, obbligando tutti a guardare negli occhi la sorte di chi attraversa il mare con mogli e figli a rischio della vita. E obbligando a interrogarsi sui dispositivi di sorveglianza del mare e di salvataggio di chi è in pericolo.

Sono quindi serie le questioni che s’intrecciano intorno al naufragio di Cutro e delle risposte politiche che il governo ha fornito, prima con la campagna anti-Ong, poi con la tardiva e teatrale convocazione del Consiglio dei Ministri nella cittadina calabrese il 9 marzo scorso.

Anzitutto, i numeri degli sbarchi smentiscono chiaramente il teorema secondo cui i profughi arriverebbero a causa della presenza delle navi umanitarie pronti a salvarli (i “taxi del mare”, o i “vice-scafisti”, secondo la crudele retorica sovranista). Le navi delle Ong nel 2022 hanno soccorso e sbarcato in Italia meno del 12% del totale delle persone arrivate via mare. Come si è scoperto nel caso di Cutro, gli altri arrivano o con i propri mezzi, oppure vengono tratti in salvo da Marina Militare e Guardia Costiera, a volte anche da comuni navi mercantili. Nel 2023, a decreto anti-Ong in vigore, a fine febbraio erano sbarcate in Italia 14.104 persone, contro 5.345 nel 2022 e 4.304 nel 2021. Dunque con meno navi umanitarie a presidiare il mare è arrivato il triplo dei profughi. Le ragioni delle partenze sono più complesse degli slogan. Basti pensare alla provenienza delle vittime di Cutro, quasi tutti afghani.

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Naufraghi. “I senza nome”. Viaggio a Lampedusa tra gli ultimi custodi della pietà umana.

NANDO DALLA CHIESA

“I senza nome”. Non è un film di avventurieri o di agenti segreti. È il titolo di uno splendido docufilm su Lampedusa che racconta come quell’isola simbolica offra la terra del decoro a chi vi è arriva dal mare privo di nome, il viso deformato dall’ultimo terrore, sbattuto come pacco dalle onde. Accolto da esseri sconosciuti che mantengono acceso il barlume della pietas. E che dunque dedicano la vita a dare a lui e a mille altri come lui sepoltura in terra straniera, a cercare il suo nome, a scriverlo per i posteri, anche con l’indice che affonda nella calce. Cambiando il suo destino almeno da morto: nessuno prima, ma segnato da una sua sacralità dopo, in mezzo ai fiori e alle piante di un cimitero che è insieme storia, cuore e religione. È un docufilm che insegna cose grandi e profonde.

Proiettato in anteprima in un’aula di Scienze Politiche dell’università di Milano, ha lasciato senza fiato gli studenti. Che difficilmente dimenticheranno una testimonianza tanto radicale del loro tempo. Senza tentare qui una recensione che non mi spetta, dirò dunque che in quaranta minuti ho avuto la più convincente, perentoria dimostrazione che la comunicazione non deve essere per forza scoppiettante, ritmi e immagini rutilanti, veloci-mi-raccomando-sennò-la-gente-si-addormenta. Ma quale addormentarsi, le immagini scorrono lente come nel Sale della terra di Salgado, sembrano onde del mare in un pomeriggio di bonaccia. La cazzuola che assesta e riassesta la calce intorno a un nome, a una mattonella decorata su una tomba, sembra guadagnarsi il paradiso proprio per la sua lentezza. Il colore blu del cielo su cui neanche una nuvola osa comparire, appare immobile proprio mentre si sta celebrando il dramma epocale della mobilità dell’uomo. Ci si chiede chi abbia sancito per tutti che anche l’arte deve andare di corsa, che dal cinema debbano nascere impressioni sincopate e non pensieri che vagano nell’animo scuotendolo.

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Immigrazione. Pregiudizi di una politica miope

MAURIZIO AMBROSINI

Sul fronte politico-mediatico è, dunque, tornata l’emergenza sbarchi. Il neo-insediato governo Meloni ha immediatamente rieditato la guerra alle ong e ai partner europei, già targata Salvini. E negli stessi giorni, con meno clamore, ma con effetti pratici ancora più perniciosi, ha rinnovato il memorandum d’intesa con la Libia, nonostante le denunce sempre più numerose, documentate e autorevoli di abusi e maltrattamenti, fino alle torture e alle uccisioni, a danno di migranti e profughi detenuti e, se in fuga, intercettati e rimandati nei centri di detenzione gestiti sia dal governo, sia da milizie locali. Il nuovo governo sta cercando di affermare una linea identitaria di stampo sovranista su temi che ritiene popolari, facilmente comunicabili, a basso costo economico e ad alta rendita propagandistica. A spese però dei più deboli, scaricati da una politica cinica e spregiudicata. Vediamo nel merito gli argomenti utilizzati.

Il primo è la sacralizzazione dei confini.

Le vite umane in pericolo diventano un problema secondario rispetto alla riaffermazione del controllo sulle frontiere e sugli ingressi. Non ci sono diritti umani o convenzioni internazionali che tengano, di fronte alla volontà di ribadire una pretesa di sovranità assoluta sul territorio. È un’idea e un linguaggio d’altri tempi. Settantacinque anni di faticose conquiste post-belliche hanno gradualmente limitato e controbilanciato la sovranità nazionale, riconoscendo princìpi universali e diritti delle persone, come nel caso dei richiedenti asilo e dei rifugiati, sanciti da convenzioni internazionali che limitano la potestà degli Stati firmatari.

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Immigrati. L’odissea dei mille sulle navi delle Ong

NELLO SCAVO

In italiano si chiama «Umanità», e fino a ieri sera è stata tenuta al largo. Per decreto. Il governo Meloni ha deciso, ricalcando i passi del primo esecutivo Conte, che le navi del soccorso civile nel Mediterraneo non devono assicurare le cime alle banchine nazionali. Tra cui la “Humanity 1” con un centinaio di bambini e ragazzini non accompagnati a bordo, a cui solo ieri sera tardi, appunto, è stato concesso un molo di approdo a Catania. A poca distanza però altre tre navi con circa mille persone a bordo restano senza, mentre nessun ostacolo è stato opposto a una petroliera che ha effettuato due soccorsi e rapidamente sbarcato i superstiti in Sicilia.

Il ministro dell’Interno Piantedosi è stato categorico: «Le persone che hanno i requisiti possono scendere, ci facciamo carico di ciò che presenta problemi di ordine assistenziale e umanitario senza derogare al fatto che gli obblighi di presa in carico competono allo Stato di bandiera». Una versione che sta preoccupando non poco anche le autorità marittime italiane, che temono di trovarsi trascinate in qualche altro guaio giudiziario per non aver dato seguito, se non allo sbarco, quantomeno al trasbordo dei migranti. «Il richiamo alle esigenze di sicurezza francamente appare scomposto – dice ad Avvenire una fonte dell’ammiragliato –, quando migliaia sbarcano autonomamente o da mercantili senza che nessuno si sogni di fare un controllo preventivo in mare».

Germania e Norvegia hanno respinto questa teoria sostenendo che non vi sia alcun appiglio giuridico. «La Norvegia non ha alcuna responsabilità ai sensi delle convenzioni sui diritti umani o del diritto del mare – si legge in una precisazione del ministero degli esteri di Oslo – per le persone imbarcate a bordo di navi private battenti bandiera norvegese». Mercoledì era stata l’ambasciata tedesca a esortare l’Italia a fornire rapidamente assistenza, ribadendo che le navi delle Ong «hanno dato un importante contributo al salvataggio di vite in mare».

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Immigrazione, più benefici ricevuti che diritti garantiti

MARCO OMIZZOLO

Secondo il dossier Immigrazione (2022) del centro studi Idos, redatto in collaborazione con la rivista Confronti e all’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”in Italia gli immigrati residenti inciderebbero più tra i lavoratori (10% ovvero: 2.257.000 occupati su un totale nazionale di oltre 22,5 milioni nel 2021) che tra la popolazione nel suo complesso (8,8% ovvero: 5.194.000 residenti su una popolazione totale di 59 milioni), e rispetto al 2020, tra gli occupati sono cresciuti del 2,4%. Il dossier Idos costituisce da anni un punto di riferimento per l’analisi quantitativa relativa alla presenza degli stranieri in Italia e la loro organizzazione con riferimento al mercato del lavoro, alla demografia nazionale, alle attività di impresa e dei relativi processi di inclusione. Il dossier sarà presentato ufficialmente nella sua versione integrale il 27 ottobre, alle 10.30 presso il Nuovo Teatro Orione di Roma (via Tortona 7) e in contemporanea in tutte le regioni italiane.

Immigrazione, più lavoratori che residenti: il 10% degli occupati in Italia sono stranieri

Ancora secondo questa anticipazione, sebbene siano impiegati per un numero di ore più basso rispetto a quelle che sarebbero disponibili a lavorare (il 19,6% degli occupati stranieri lavora in part time involontario – il 30,6% tra le sole donne – contro 10,4% degli italiani) e in lavori demansionati rispetto al livello di formazione acquisito (ben il 63,8% svolge professioni non qualificate o operaie e la quota di sovraistruiti è del 32,8% – 42,5% tra le sole donne – contro il 25% degli italiani), continuerebbero a sostenere in misura rilevante l’economia nazionale.

Il saldo netto tra uscite ed entrate legate all’immigrazione è positivo: 1,3 miliardi di euro

Da una parte, infatti, vivendo e lavorando in Italia, gli immigrati pagano le tasse, consumano e versano contributi: nel 2020 hanno pagato 5,3 miliardi di euro di Irpef, 4,3 miliardi di Iva, 1,4 miliardi di Tasi e Tari, 2,2 miliardi di accise su benzina e tabacchi, 145 milioni di euro per le pratiche di acquisizione di cittadinanza e di rilascio/rinnovo dei permessi di soggiorno. Inoltre, tra comunitari e non comunitari, hanno versato 15,6 miliardi di euro di contributi previdenziali, contribuendo al sistema pensionistico italiano. Ne deriva che il saldo netto tra uscite economiche (28,9 miliardi) ed entrate (30,2 miliardi) legate all’immigrazione è stato ancora una volta positivo di circa 1,3 miliardi di euro a vantaggio delle casse dello Stato.

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Immigrazione. Tra indifferenza ed ipocrisia

ANDREA MORNIROLI

Devono sempre morire dei bambini o delle bambine perché, almeno per alcune ore, le persone che scappano da guerre, fame, discriminazioni, catastrofi ambientali tornino a essere riconosciute come tali e non come categorie da temere, da allontanare, da rifiutare.

E devono morire in modo tragico – come l’ultima bambina morta di sete e di fame sotto il sole su un barcone troppo piccolo per tanta disperazione – perché per smuovere le emozioni non bastano le migliaia di morti, nel Mediterraneo o sulla rotta balcanica, che in questi anni hanno trasformato i flussi migratori in una sorta di olocausto senza nome. Perché a quelle ci siamo abituati e per questo, per questi casi, riusciamo a rifugiarci nella nostra indifferenza.

Se si decide di protestare lo si fa scegliendo di non occuparsi più della cosa pubblica, a partire dal non votare. Abbiamo dismesso la nostra capacità collettiva di opporci e di denunciare

In questa società dello spettacolo, dove tutto è rappresentazione e lettura in bianco e nero, in altre parole, serve qualcosa di particolarmente tragico per smuovere le emozioni, per cambiare la narrazione dei media, per fare tacere, almeno per un po’ di tempo la politica.

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Integrazione. Don Geremia Acri:” Così convinco la gente a dare in affitto le case ai migranti”

Don Geremia Acri, intervistato da Alessandra Ziniti

Il mudir è l’amico più amato e l’autorità più temuta. Uno scappellotto sul collo è un avvertimento, lo sguardo di ghiaccio è l’ultimo avviso prima della cacciata. Perché sulle regole non si transige: vanno rispettate, chi non ci sta è fuori. In piazza Catuma, come tutti qui chiamano la centralissima piazza Vittorio Emanuele II ad Andria, ilmudir (termine che in arabo indica un potente funzionario di governo) ha il volto di don Geremia Acri, 54 anni, il sacerdote che dell’inclusione dei migranti ha fatto una missione. E ha messo a punto un sistema di accoglienza tale da far sì che, qui, i proprietari di case vuote non abbiano alcuna remora ad affittarle agli extracomunitari. Ma guai a chiamarlo prete di strada.

Don Geremia, perché non le piace essere chiamato così?

«La trovo una definizione priva di senso. Ho scoperto che esiste persino un link con i nomi dei cosiddetti preti di strada e c’è anche il mio. Io sono un uomo scelto da Dio tra gli uomini, mi batto per rendere giustizia e dignità all’umanità ai margini. La strada è quella del sacerdozio che ho trovato tardi, a 30 anni, una vocazione nata da una vita che ha conosciuto l’emarginazione».

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