LUISA CORAZZA
Le riflessioni proposte dalla Banca d’Italia cambiano la prospettiva con cui guardare alle migrazioni. Occorre superare la narrazione, ormai usurata, che impedisce di vedere l’immigrazione come una risorsa e limita la gestione all’emergenza senza visione di lungo periodo.
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Nella relazione annuale presentata lo scorso 31 maggio il governatore della Banca d’Italia è tornato su temi che il discorso pubblico aveva da un po’ di tempo accantonato, perché altre questioni apparivano più urgenti o semplicemente perché scomodi. Tra questi merita attenzione la ripresa del filo che collega i fenomeni migratori ad alcune grandi sfide del nostro tempo, come quella della sostenibilità del sistema di welfare e più in generale dello stato complessivo di salute della nostra economia, che, come avverte Fabio Panetta, risulta fortemente minacciato dal calo demografico (secondo l’Istat, il calo della popolazione in età lavorativa può comportare, da qui al 2040, una contrazione del Pil del 13%).
La vera minaccia
Che la vera minaccia sia costituita dalla crisi demografica e non dall’immigrazione costituisce per la verità un dato da tempo acquisito negli studi sullo sviluppo economico dei territori, da sempre abituati a misurare i flussi di popolazione e i loro effetti sulla crescita del benessere delle diverse aree geografiche. Si pensi al fenomeno che ha portato, nel secondo dopoguerra, alla crescita economica e demografica del nord del Paese, consolidando uno scarto di ricchezza tra due Italie che non si riesce più a colmare ed è destinato ad approfondirsi. Ma la conferma dell’importanza della demografia per la crescita dell’economia viene anche da vicende storiche più risalenti, come quelle che negli ultimi due secoli hanno investito il cosiddetto “nuovo mondo” (si pensi, quali testimonianze della leva migratoria per l’espansione dell’economia americana, alle differenze tra Europa e America nell’acquisizione della cittadinanza).
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