Archivi tag: Il silenzio di Dio

Perché il dolore? L’eterna domanda che inquieta la fede

ROBERTO RIGHETTO

Per il teologo Magnus Striet filosofi e scrittori mostrano il dramma, ma la sola risposta è nella vita che risorge

«Non essere mai nati è la cosa migliore e la seconda, una volta venuti al mondo, è tornare lì donde si è venuti»: un sentimento accorato e insieme nichilista si ritrova in queste parole recitate dal coro della tragedia Edipo re di Sofocle. Espressione di una visione dell’esistenza improntata al pessimismo totale propria di buona parte della cultura ellenica – si pensi ai lirici greci – ma anche di una tradizione consolidata del pensiero occidentale, il cui emblema è Schopenhauer. «Una visione purificata da tutte le scorie religiose», commenta il teologo tedesco Magnus Striet nel suo libro Il silenzio di Dio. Desiderio di resurrezione e scetticismo, appena edito da Queriniana (pagine 190, euro 22).

Docente di Teologia fondamentale e antropologia filosofica alla Facoltà teologica dell’Università di Friburgo, Striet s’interroga sulla questione del dolore e sulla presenza del male che affliggono l’esistenza umana, confrontandosi ampiamente con i tentativi di risposta che non solo la teologia, ma la letteratura e la filosofia hanno cercato di dare nel corso dei secoli. E cita una lettera di Johannes Brahms inviata a un amico per la nascita del secondo figlio: « In tal caso, non si può più augurare il meglio – che dovrebbe essere non nascere. Possa il nuovo cittadino del mondo non pensare mai in questo modo, ma possa rallegrarsi per molti anni del 7 maggio e della sua vita». Righe da cui traspare rassegnazione, esattamente come nel caso degli antichi greci.

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La Pasqua in tempo di guerra e la difficile fraternità

ANDREA GRILLO

Mentre confessioni cristiane di grande tradizione si lasciano tentare arrivando a parlare di “guerra santa”, una riflessione sulla Pasqua impone alcune considerazioni sofferte, ma inaggirabili. sul ruolo delle fedi, delle religioni e delle chiese nella giustificazione delle violenze sugli innocenti. Pubblico in italiano il testo della intervista pubblicata ieri in portoghese al link: https://ihu.unisinos.br/637897-pascoa-o-amor-e-a-ressurreicao-que-transcende-a-brutalidade-e-amorte-alguns-depoimentos?

IHU – Momenti drammatici come quelli che stiamo vivendo attualmente, con guerre, violenza, sofferenza e male, ci portano a riflettere sul silenzio di Dio. Su cosa questo silenzio ci invita a riflettere?

Dio tace quando gli uomini si sono dimenticati di lui. I momenti drammatici che viviamo attestano questa lontananza da Dio, il deserto della menzogna e della violenza irride a Dio e alla sua impotenza. Anche le tradizioni religiose contribuiscono a questo silenzio. Parlano di Dio come di un fantoccio che accompagna gli eserciti, che sostiene gli scontri, che scomunica popoli e tradizioni. Il Dio della tradizione cristiana, il Dio della tradizione giudaica, il Dio della tradizione islamica guarda con sdegno a questi giochini umani con cui viene coinvolto negli atti di superbia, di invidia e di ira. Purtroppo solo alcune voci, tra cui quella di papa Francesco, sanno guardare con lucidità a questo momento. E anche queste voci sono ridicolizzate, insultate, guardate con scandalo e con ostilità, come se fossero “tradimenti”, dovuti a mancanza di coraggio, o a codardia. Il silenzio di Dio è il giudizio di condanna per uomini che vogliono solo la affermazione di sé, della propria tradizione. Ma Dio condanna in modo ancora più netto gli uomini di chiesa, i capi delle religioni, che appoggiano questa follia.

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L’angelo annuncia la risurrezione

GIANFRANCO RAVASI

Mi sembra di sentire ancora la voce possente di padre David Maria Turoldo quando mi aveva letto in friulano, la lingua comune a lui e a quel poeta «scandaloso», i versi de Li ciampanis dal Gloria. Li ho ricercati per questa Pasqua nella raccolta La nuova gioventù di Pier Paolo Pasolini, in un’edizione Einaudi che reca la data dell’anno della sua tragica morte, il 1975. Li traduco, pur nella consapevolezza di renderli pallidi e, senza gli “a capo”, smorti.

«Suona il Gloria. A mia madre batte il cuore, come a una bambina, e fuori il sole scalda come cinquant’anni fa, quando c’era solo Casarsa in tutto il mondo. / Corre a bagnarsi gli occhi, povera bambina contenta, bambina con un figlio morto, e stringe l’ulivo benedetto, ridendo un poco vergognosa, mentre il Gloria al vento è la sola voce del mondo…».

Il canto del Gloria in excelsis, cancellato dalla liturgia durante la quaresima, e le campane mute del Venerdì santo esplodono nella loro sonorità pasquale, riversandosi sui tetti e lungo le strade del villaggio natio di Pasolini. Noi, però, riavvolgiamo il filo dei ricordi in una lunga sequenza che ci riporta idealmente alla Pasqua del 57 d.C. Siamo a Efeso, splendida città dell’Asia minore, e l’apostolo Paolo ha tra le mani una comunicazione proveniente da Corinto, florido centro commerciale dotato di ben due porti, con seicentomila abitanti.

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Il silenzio eloquente di Dio

GIANFRANCO RAVASI

Contemplazione. Il teologo Magnus Striet propone sei suggestive «meditazioni» e Luigi Nason considera l’eterna domanda «come mai?» davanti al male

«Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere». Mai forse un appello come quello che Wittgenstein aveva incastonato nel suo famoso, e per altro, fitto Tractatus logico-philosophicus (1929) è stato smentito. È, infatti, curioso che la bibliografia sul silenzio abbia accumulato migliaia di testi e un oceano di parole. Oggi, poi, sui viali dell’infosfera avanza incessantemente una valanga di frasi, spesso irripetibili, e ben pochi sono quelli che confessano – soprattutto tra le figure pubbliche e i politici – quanto riconosceva due millenni fa Publilio Siro in una delle sue circa settecento Sentenze a noi pervenute: «Mi sono pentito spesso di aver parlato, mai di aver taciuto».

In realtà, l’ossimoro «silenzio eloquente» ha una sua grande validità: si pensi solo alla contemplazione mistica (dal greco myein, «tacere») o al «segreto messianico» di Cristo o alle lezioni taciturne di Buddha o alla «voce di silenzio sottile» nella quale il profeta biblico Elia scopre la teofania. Per questo è significativo scovare ampi e profondi studi antropologici, come quello Sul silenzio di David Le Breton (Cortina 2018) o le deliziose «variazioni» sul Silenzio nella musica del violoncellista Mario Brunello che ama suonare sulle cime dolomitiche, nel deserto, nei monasteri (il Mulino 2014). Tra l’altro, la pausa in musica dev’essere «eseguita» rendendola grembo generativo delle note precedenti e susseguenti.

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Neruda, Borges e il silenzio di Dio

VICTOR MANUEL FERNÁNDEZ

Il 1° luglio Papa Francesco ha nominato S. E. il Card. Víctor Manuel Fernández nuovo Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede. Gli rendiamo omaggio ripubblicando questo saggio del 2016 su Borges e Neruda.

Borges e Neruda si ponevano agli antipodi, dal punto di vista politico. Nel 1971 Borges non volle ricevere Neruda perché era ambasciatore di un governo comunista. Neruda, a sua volta, dirà nel 1973 che «Borges ragiona come un dinosauro». Tuttavia si ammiravano reciprocamente in quanto scrittori, e lo dichiaravano pubblicamente. La conclusione riguardante i loro “disincontri” la offre Neruda: «Non capisce che cosa stia accadendo nel mondo moderno e crede che nemmeno io lo capisca. Quindi siamo d’accordo».

Tra i due c’è un’altra somiglianza: ha a che vedere con l’atteggiamento di fronte a Dio e a Gesù Cristo – per quanto possiamo considerare entrambi gli scrittori, in una prospettiva concettuale, agnostici. Qui mi interessa metterli a confronto da quest’ultimo punto di vista.

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Il silenzio di Dio e il mistero del male

PAOLO RICCA

Il libro Il Silenzio di Dio, di Gianfranco Ravasi 1 , è già stato pubblicato dalle Edizioni Paoline più di trent’anni fa, e viene ora ripubblicato, in versione rivista e aggiornata, da TS Edizioni: segno che non è invecchiato, cioè che, col passar degli anni, non ha perso nulla del suo valore, malgrado i tanti e grandi cambiamenti avvenuti dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso, quando uscì, e la situazione odierna del mondo e della Chiesa. Del resto, come potrebbe invecchiare il profeta Geremia (il libro è una raccolta di meditazioni su Geremia), la cui voce che risuonò dalla fine del VI secolo a.C. fino agli anni ’20 del V secolo, continua a sfidare secoli e millenni, e non cessa di avvincere, e persino di incantare, ma anche di spaventare, e persino scandalizzare chi lo legge?

Il libro di Geremia, che dopo il Libro dei Salmi è il più lungo di tutta la Bibbia (52 capp. e 21.981 vv.), è un vero compendio dell’intero messaggio biblico: vi si trovano infatti giudizio e salvezza, condanna e perdono, sventura e grazia, inganno e verità, incredulità mascherata da religione e autentica fede, falsa e vera profezia, antico e nuovo Patto, disperazione e consolazione, illusione e speranza, sconfitta e vittoria, capitolazione e resistenza, tradimento e fedeltà, l’amaro destino personale del profeta, odiato in patria, cacciato e morto in esilio, e il destino collettivo, amarissimo, del popolo d’Israele deportato a Babilonia, la vana fiducia nell’istituzione religiosa («Questo è il tempio dell’Eterno! Il tempio dell’Eterno! Il tempio dell’Eterno!» – 7, 4) e l’autentica fiducia in Dio (che non è il Tempio!), la parola di Dio falsificata, che dice quello che il popolo vuole sentirsi dire, e la genuina parola di Dio che dice quello che il popolo non vuole sentirsi dire (quanto è difficile distinguerle! Quanto si rassomigliano formalmente!), gli alti e bassi della vita e della fede, con i suoi momenti critici di scoraggiamento fino alla depressione, e i suoi momenti felici in cui si ricuperano animo, fiducia e forze. E sopra e in mezzo a tutto questo l’irriducibile e invincibile parola di Dio – «la mia parola non è essa come il fuoco, dice l’Eterno, e come un martello che spezza il sasso?» (23, 29) –, di cui Geremia porta da solo il peso estremamente gravoso, di cui vorrebbe liberarsi, ma non può, perché «se dico “Non lo menzionerò più [cioè non parlerò più di Dio], non parlerò nel suo nome”, vi è nel mio cuore come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzo di contenerlo, ma non posso» (20, 9).

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