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Filosofia e Teologia di fronte alle grandi domande: la vita, il dolore, la morte, Dio, il futuro

BRUNO FORTE

Nella storia del pensiero occidentale teologia e filosofia si coappartengono così profondamente da potersi descrivere come inseparabili, anche se mai unite1. Ai nostri giorni, poi, esse si scoprono accomunate in una nuova solidarietà di fronte alla sfida del dolore del tempo nelle forme che ci hanno raggiunto con la pandemia e le guerre in atto. Anche per questo l’invito alla teologia raggiunge il filosofo come una voce familiare, a volte obliata o taciuta, sempre comunque reperibile nel profondo del proprio indagare. E al teologo l’esercizio dell’interrogazione radicale, caratteristico del filosofo, appare componente ineliminabile del suo più profondo pensare2. Nelle riflessioni che seguono una tale coappartenenza è verificata intorno a quattro grandi temi: la domanda della vita e del dolore, la questione di Dio, il pensiero della Croce e la sfida della speranza, aperta al futuro assoluto.

a) “Cogitatio vitae et doloris” – Pensare la vita e il dolore

Ciò che rende oggi più poveri filosofi e teologi è la sofferenza dell’assenza di patria (la Heimatlosigkeit heideggeriana), la mancanza cioè di un orizzonte comune, rispetto a cui motivare l’impegno e dare senso alla vita. Questo senso di addio, questa fragilità e debolezza, sono il luogo in cui filosofi e teologi non possono più scontrarsi muovendo da facili certezze, quasi che qualcuno possegga la clava della verità, con cui punire o giudicare l’altro. Questo senso di smarrimento, di disagio, di bisogno di patria, questo peso del dolore dell’abbandono, può essere evaso, nascosto, fuggito: si può tentare di essere non pensanti, e dunque negligenti di fronte alla condizione del naufragio. Ma nel momento in cui si pensa e si è coscienti, la lama di questo dolore del mondo non può non interrogarci tutti: teologia e filosofia più povere, meno ideologiche, sono proprio per questo più aperte alla ricerca, e perciò accomunate nell’esperienza e nel bisogno di curare le ferite del vivere e di aprirsi alla sfida e al dono dell’Altro, ultimo e misterioso.

Danno voce a questa sfida che viene dalla domanda del dolore numerosi pensatori: due esempi possono renderne la portata. Il primo è quello offerto da Andrea Emo, il solitario pensatore che lasciò ai posteri la testimonianza della sua ricerca senza curarsi di cercare riscontri o reazioni in vita3. Con una paradossale invocazione Emo esprime il destino di porre domande che aprono al mistero, ma che non trovano luce o risposta: «Concedici, o Signore, i paradisi del nulla, i giardini della tua primavera. Signore che fai della notte un mattino, il mattino che paghiamo con le monete luminose degli astri, astri della notte, guide degli erranti, degli erranti verso l’infinito: cos’è il cielo se non l’infinita via verso il nulla? Che è il nulla se non un ritorno, il tuo ritorno? Che è l’infinito se non un ritorno?»4.

Queste parole non esprimono una banale negazione di Dio e del Suo mistero, ma danno voce alle inquietudini della vita che sembra “gettata verso la morte” (la “Geworfenheit zum Tode” di Heidegger), e che dunque è lotta col nulla, che sembra assorbire tutte le cose.

Altra voce, testimone della rilevanza della sfida del dolore per il pensiero, è quella di Dietrich Bonhoeffer, il teologo evangelico morto martire della barbarie nazista nel campo di concentramento di Flossenburg. In una poesia inviata dal carcere di Tegel scrive: «Uomini vanno a Dio nella loro tribolazione / piangono per aiuto, chiedono felicità e pane, / salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte. / Così fanno tutti, tutti, cristiani e pagani. / Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione, / lo trovano povero, oltraggiato, senza tetto né pane, / lo vedono consunto da peccati, debolezza e morte. / I cristiani stanno vicino a Dio nella sua sofferenza»5. A differenza di Emo, Bonhoeffer riconosce un orizzonte di senso davanti alla sfida del dolore nella sofferenza di Dio rivelata in Cristo: il Dio sofferente non solo attesta la sovrana dignità del dolore, ma dà ad esso valore nell’offerta d’amore che fa di sé.

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