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Gender. Oltre strumentalizzazioni politiche, ideologismi, conformismi culturali

GIUSEPPE SAVAGNONE

La polemica suscitata nei giorni scorsi dal rifiuto del nostro Paese di sottoscrivere la dichiarazione del Consiglio dell’UE per la promozione delle politiche a favore delle comunità LGBTQ+, costituisce un ottimo esempio di come le legittime diversità di opinione possano degenerare in dispute ideologiche che nascondono il senso delle questioni, invece di aiutare l’opinione pubblica a capirne la complessità e a formarsi un giudizio critico.

Reazioni

«Che rabbia e che vergogna questo governo che decide di non firmare una dichiarazione per le politiche europee a favore delle persone LGBTQ+. Non è accettabile», è stato il commento della segretaria del PD Elly Schlein. «Scelta scellerata», l’ha definita Ivan Scalfarotto, responsabile Esteri di Italia Viva. Quella del nostro Governo è stata una «decisione inaccettabile» anche per AVS. E da parte di Azione, la deputata Daniela Ruffino ha parlato di una «brutta pagina».

Netto anche il leader dei 5Stelle Giuseppe Conte, il quale ha sottolineato che a non firmare il documento, tra i paesi dell’Unione, sono stati, oltre, l’Italia, solo l’Ungheria e altri Paesi dell’Est e ha contrapposto questa «posizione reazionaria» al progetto del suo partito di dar vita a una società «in cui tutti siano davvero liberi di vivere la propria vita senza dover rendere conto a nessuno delle proprie scelte».

A questo coro di critiche, la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità Eugenia Roccella ha replicato con pari aggressività: «La sinistra usa la sacrosanta lotta contro le discriminazioni legate all’orientamento sessuale come foglia di fico per nascondere il suo vero obiettivo, e cioè il gender».

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Il femminismo non difende più le donne perché nega le specificità dei generi

LUCETTA SCARAFFIA

Anticipazione di parte dell’intervento della scrittrice al festival èStoria (Gorizia). Titolo dell’incontro: Appunti per una storia del femminismo in Italia. In dialogo con Scaraffia, Nada Cok ed Elisabetta Vezzosi.

Il grande storico Eric Hobsbawm ha scritto – ormai parecchi anni fa – che l’unica rivoluzione vittoriosa del Novecento è stata quella delle donne, e la grande trasformazione che ha coinvolto le donne nel mondo occidentale conferma senza dubbio questa affermazione. Oggi le donne hanno raggiunto la parità con gli uomini in tutti i campi della vita sociale, hanno ottenuto il libero controllo sul loro corpo, hanno cambiato le leggi e il modo di considerare la violenza sessuale. Su questo non ci sono dubbi. Ma rimane aperta una domanda: quale è il femminismo che si è affermato, quale progetto politico di liberazione della donna ha vinto?

Le prime femministe, quelle che chiedevano il voto e l’accesso all’istruzione, difendevano la specificità femminile, cioè la maternità. Sostenevano che le donne mai avrebbero rinunciato al dono prezioso di essere madri, e che proprio questo le rendeva portatrici e testimoni di una morale più alta di quella maschile, una morale altruista, che predicava il dono gratuito, la pace e la cura dei deboli.

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Papa Francesco in dialogo con un gruppo di giovani. Un documentario streaming sulla piattaforma Disney+

FELIPE HERRERA-ESPALIAT

Disteso, sorridente e scherzoso e, in altri momenti, molto serio, commosso e addolorato. Ma sempre pronto a rispondere senza mezzi termini a ognuna delle complesse domande che gli pongono giovani di tutto il mondo. Così si mostra il Papa in «Amén. Francisco responde», un documentario di 83 minuti diretto dagli spagnoli Jordi Évole e Màrius Sánchez, uscito questo 5 aprile sulla piattaforma streaming Disney+.

Il lungometraggio è stato girato a giugno del 2022 in un edificio del quartiere Pigneto a Roma, quando il Papa aveva un forte dolore al ginocchio destro. Per questo appare fragile mentre cammina, ma non quando risponde alle domande pressanti dei suoi interlocutori, tutti di lingua spagnola, tra i 20 e i 25 anni, provenienti da Spagna, Senegal, Argentina, Stati Uniti, Perú, Colombia. Anche se all’inizio sembrano agitati per l’imminente dialogo con il capo della Chiesa cattolica, dopo l’arrivo di Francesco passano ben presto dalla timidezza alla fiducia, e a volte alla sfrontatezza, trattando, tra gli altri temi, il ruolo della donna nella Chiesa, il femminismo e l’aborto, la testimonianza di fede e la perdita della stessa, l’identità sessuale, il dramma della migrazione e il razzismo.

A rompere il ghiaccio è lo stesso Francesco che prende l’iniziativa e con un’immagine calcistica, dice: «Palla al centro, la partita abbia inizio». Subito Víctor, che si definisce agnostico, gli domanda se prende uno stipendio per il suo lavoro e il Papa non esita a rispondere: «No, non mi pagano! E quando ho bisogno di soldi per comprarmi le scarpe o qualcos’altro, vado e chiedo. Non ho uno stipendio, ma questo non mi preoccupa, perché so che mi danno da mangiare gratis». Poi racconta ai giovani che il suo stile di vita è abbastanza semplice, «come quello di un impiegato medio» e che per una spesa più grande preferisce non gravare sulla Santa Sede, ma chiedere aiuto ad altri.

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