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#Nessuno/Qualcuno

GIANFRANCO RAVASI

Io sono Nessuno. / Tu chi sei? Sei Nessuno anche tu? / Allora siamo in due! / Non dirlo! Potrebbero spargere la voce! / Che grande peso essere Qualcuno! / Così volgare – come una rana che gracida il tuo nome – / tutto giugno, a un pantano in estasi di lei!

Leggere una poesia non è come affrontare le pagine di un saggio o di un romanzo un po’ corrivo. È necessario rispettare gli spazi bianchi, procedere con pacatezza, alonarsi di silenzio. È ciò che suggeriamo a chi ha soltanto scorso i versi che abbiamo desunto da una delle più affascinanti poetesse dell’Ottocento, l’americana Emily Dickinson. A lei ben s’adattava quel nome, «Nessuno», adottato anche dall’Ulisse omerico per altra ragione: infatti, era vissuta per la maggior parte dei suoi 56 anni nella solitaria casa paterna nella cittadina di Amherst, nel Massachusetts. Il suo emblema era il nascondimento, la quiete, la riflessione, scavando in profondità nella coscienza e ascendendo verso le vette dell’essere e dell’esistere, dell’eterno e dell’infinito.

Sappiamo, invece, che particolarmente oggi tutto spinge a essere «Qualcuno», a urlare la propria presenza e spesso la connaturata stupidità sulle piattaforme informatiche, a sgomitare nel pantano del successo a tutti i costi, ad arraffare il più possibile notorietà e possessi nella società. L’antica sapienza ascetica suggeriva un po’ paradossalmente: ama nesciri et pro nihilo reputari, desidera essere ignorato e considerato un nulla. Proprio il contrario delle aspirazioni primarie a cui educhiamo i ragazzi. E così accade quello che registrava già nel Seicento La Bruyère nei suoi Caratteri: «L’uomo reale perde spesso il lume della ragione, grida, si dispera, manda faville dagli occhi e rimane senza respiro per un cane smarrito o per una porcellana andata in pezzi».

in “Il Sole 24 Ore” del 18 giugno 2023

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