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Scuola. Come educare alla partecipazione e alla democrazia

PIETRO CALASCIBETTA

Non manca certamente nel nostro sistema d’istruzione una vasta normativa che assegna alla scuola un ruolo centrale nella formazione alla democrazia partecipativa. Tuttavia, l’astensionismo crescente e il disinteresse, soprattutto tra i giovani, che rileviamo, per esempio, in ogni tornata elettorale, pone l’obbligo di riflettere su che cosa non abbia funzionato nel tradurre le norme in pratica didattica e che cosa si possa fare ora per rendere più efficace tale azione prima che sia troppo tardi. Riuscire a riconoscere i nostri punti deboli ci aiuta a individuare le possibili soluzioni.

La democrazia è partecipazione attiva

Il nodo centrale di una formazione alla cittadinanza per fare delle scuole dei «cantieri di democrazia»[1] non sta solo nel conoscere la Costituzione con i principi e i valori in essa contenuti, ma nel sapere come fare ad applicarli nella vita reale di tutti i giorni. Non basta averne «l’idea», serve soprattutto «l’arte di governare». L’unico modo per imparare una competenza è esercitala concretamente: le competenze si costruiscono con l’esperienza del fare e con la riflessione sul come si è fatto. La democrazia è, innanzitutto, partecipazione attiva, la si impara esercitandola e riflettendo sui processi messi in atto.

Gli organi collegiali: un’occasione mancata

L’introduzione nel 1974 degli organi collegiali poteva essere l’occasione per fare della comunità scolastica un vero e proprio laboratorio dove esercitare la pratica della partecipazione attiva alla vita di una comunità. Sarebbero dovuti diventare i contesti privilegiati per costruire e “allenare” le competenze di cittadinanza democratica e di formazione civica sia negli studenti, sia negli adulti. Nonostante le possibilità offerte dall’autonomia, non si è colta tale funzione formativa.

Ci sono state probabilmente omissioni e superficialità. Per esempio, nel corso degli anni non ci si è preoccupati di sostenere e formare almeno i rappresentanti eletti. Ciò era stato previsto, seppure a livello teorico, per le Consulte provinciali degli studenti, dove era prevista la presenza di un docente referente[2] con una funzione educativa oltre che tecnica[3].

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