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Economia, demografia, democrazia: sfide e linee guida per una governance globale

GIULIANO AMATO

Da alcuni mesi, la Consulta scientifica del “Cortile dei Gentili” è impegnata nella redazione di un documento analitico, che si propone di indagare e affrontare l’attuale e difficile transizione economia, sociale, democratica e demografica, proponendo delle linee di indirizzo per una governance condivisa e sostenibile a livello globale. Di seguito, se ne pubblica un estratto a cura del Presidente della Consulta, il Prof. Giuliano Amato.

All’interno di una difficile transizione geo-politica l’umanità si trova oggi a vivere una profonda crisi antropologica, non solo individuale ma sociale, dovuta a tre transizioni interdipendenti: a) una transizione demografica; b) una transizione economica e sociale; c) una transizione “democratica” intesa qui come ridisegno delle forme di governo statuali coinvolte in questo processo.

LA TRANSIZIONE DEMOGRAFICA E LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA COME QUESTIONE DI CIVILTA’

La crisi demografica europea rischia di diventare una “questione di civiltà”, una crisi della capacità di tenuta dei valori sui quali si fonda il modello di civiltà che l’occidente ha forgiato.

In questo scenario di «transizione demografica», infatti, sono generalmente posti sotto osservazione gli aspetti ambientali, socio-economici, geopolitici e quindi ciò che dovremmo fare in vista della sostenibilità. Manca, tuttavia, tra questi focus, un’adeguata attenzione allo squilibrio della competizione valoriale sulla scena della globalizzazione, che indubbiamente le dinamiche demografiche e geo-demografiche porteranno con sé; ciò che non viene preso in considerazione, infatti, è se la crisi demografica europea diventerà anche crisi della tutela e della promozione dei valori della dignità della persona, della democrazia e della generatività nell’incontro globale delle culture.

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Aspettativa di vita in crescita per gli uomini, stabile per le donne

ISTAT

La speranza di vita alla nascita nel 2022 è stimata in 80,5 anni per gli uomini e in 84,8 anni per le donne, solo per i primi si evidenzia, rispetto al 2021, un recupero quantificabile in circa 2 mesi e mezzo di vita in più. Per le donne, invece, il valore della speranza di vita alla nascita rimane invariato rispetto all’anno precedente. I livelli di sopravvivenza del 2022 risultano ancora sotto quelli del periodo pre-pandemico, registrando valori di 6 mesi inferiori nei confronti del 2019, sia tra gli uomini che tra le donne.

Sebbene il rallentamento della speranza di vita delle donne rispetto agli uomini costituisca un processo ravvisabile già in anni precedenti la pandemia, quest’ultima può aver acuito il trend. L’impatto della crisi sul sistema sanitario, e la conseguente difficoltà nella programmazione di visite e controlli medici, potrebbero esser state particolarmente forti per le donne, più inclini degli uomini a fare prevenzione. Ad esempio, dai dati dell’indagine “Aspetti della vita quotidiana” risulta che tra il 2019 e il 2021 la percentuale di donne che ha dichiarato di aver rinunciato a prestazioni sanitarie sia aumentata di 5 punti percentuali (dal 7,5% al 12,7%), per gli uomini tale aumento è stato invece di 4 punti percentuali (dal 5% al 9,2%).

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Demografia. Un approccio sistemico per riequilibrare la società italiana

ALESSANDRO ROSINA

Nelle società mature avanzate se si desidera che le nascite diminuiscano non è necessario mettere in atto nessuna azione di disincentivo, basta semplicemente non realizzare politiche efficaci di sostegno alla libera scelta di avere un figlio.

Se n’è accorta la Cina che dopo aver imposto una drastica riduzione della fecondità, con la politica del figlio unico adottata a fine anni Settanta, ora si trova con il problema opposto. Ovvero con una demografia che sta diventando freno per lo sviluppo economico e fattore di indebolimento del sistema sociale (per l’invecchiamento della popolazione e la riduzione della forza lavoro potenziale). Ma ha scoperto che non basta togliere il divieto di avere figli per ottenere un aumento delle nascite. Preferenze e aspettative dei cittadini sono cambiate e anche le condizioni in cui le scelte riproduttive vengono esercitate sono diverse nel XXI secolo rispetto al passato. Per invertire la tendenza negativa delle nascite servono politiche in grado di rispondere positivamente a desideri ed esigenze delle persone. Ma ben prima della Cina se n’è accorta l’Italia. A metà anni Settanta eravamo uno dei paesi occidentali con più alta fecondità. A fine anni Ottanta siamo diventati il paese con più basso numero medio di figli al mondo. Altri paesi occidentali, adottando politiche familiari più solide, hanno evitato di scendere così in basso. Altri ancora, grazie a un rafforzamento delle misure a sostegno delle scelte e delle responsabilità genitoriali, da valori bassi sono riusciti ad invertire la tendenza.

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Impatto della pandemia sulla dinamica demografica

ISTAT

Alle conseguenze dirette e indirette dell’epidemia da Covid-19 sulla dinamica demografica osservate nel 2020 (drammatico eccesso di mortalità, forte contrazione dei movimenti migratori), nel corso del 2021 si aggiungono gli effetti recessivi dovuti al calo delle nascite che raggiungono un nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia.

Il decremento di popolazione tra l’inizio e la fine dell’anno 2021 interessa in modo generalizzato tutte le ripartizioni, solo parzialmente mitigato nei suoi effetti dai recuperi statistici di popolazione operati dal censimento. Il Nord-ovest è ancora in perdita (-0,4%), sebbene di entità inferiore rispetto a quella dell’anno precedente (-0,6% nel 2020), mentre nel Nord-est il deficit di popolazione si aggrava (-0,4% rispetto a -0,3% del 2020); lo stesso si verifica al Centro (da -0,4% del 2020 a -0,5% del 2021). In controtendenza è il recupero al Sud e nelle Isole (di un punto percentuale sul 2020), anche per effetto della correzione censuaria.

Il nuovo record minimo delle nascite (400mila) e l’elevato numero di decessi (701mila) aggravano la dinamica naturale negativa che caratterizza il nostro Paese nell’ultimo decennio. Il saldo naturale, pari a -301mila unità nel 2021; sommato alle -335mila già rilevate nel 2020 determina in due anni di pandemia un deficit di “sostituzione naturale” di 637mila persone.

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Unione Europea. ATLAS OF DEMOGRAPHY (Atlante della demografia)

Il 29 aprile scorso il Vicepresidente della Commissione Europea Dubravka Šuica e il Commissario Mariya Gabriel (Commissario per l’innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù) hanno lanciato la prima edizione dell’Atlante della demografia dell’UE.

Si tratta di un nuovo strumento interattivo e multidimensionale per visualizzare, monitorare e anticipare il cambiamento demografico. L’Atlante mira a informare diversi settori politici – come salute, lavoro, istruzione, accesso a servizi e strutture, politiche territoriali e di coesione, per citarne alcuni – con dati demografici e conoscenze tempestivi, solidi e comparabili al massimo livello di dettaglio geografico (fino al singolo comune) per aiutare a indirizzare le politiche dell’UE più da vicino alle esigenze dei cittadini.

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Natalità. Trend negativo in gennaio 2021

Gian Carlo Blangiardo

Il primo resoconto della natalità nel corrente anno – che Istat ha da poco reso disponibile per il mese di gennaio (seppur in via provvisoria ) – si distingue innanzitutto per segnalare la straordinaria caduta della frequenza di nascite sotto la soglia simbolica delle mille unità giornaliere: la media è di 992 nati al giorno, a fronte dei 1.159 di gennaio 2020. Nel complesso, nel bilancio anagrafico mensile risultano iscritti in Italia 30.767 nati vivi, ossia 5.151 in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Si tratta di una decrescita che, se valutata in termini assoluti, è stata sette volte più grande di quella registrata a gennaio 2020, allorché si ebbero 729 nati in meno rispetto allo stesso mese del 2019, mentre in termini relativi giunge a configurare una variazione negativa a due cifre (-14,3%), superiore di oltre dodici punti percentuali a quella corrispondente nel 2020.

Sebbene la periodicità mensile del dato statistico possa lasciare spazio all’ipotesi che si sia in presenza di una semplice oscillazione occasionale, la convinzione di trovarci di fronte a qualcosa di ben più strutturale va consolidandosi allorché si osserva come questo risultato faccia seguito all’analoga variazione negativa a due cifre (-10,3%) con cui si è chiuso il 2020 (variazione di dicembre 2020 su dicembre 2019), e come già nel bilancio anagrafico del mese precedente era affiorato un segnale di improvviso forte ribasso nella frequenza di nati (il -8,2% di novembre 2020 su novembre 2019); quasi a sancire un punto di svolta nel corso di un’annata i cui primi dieci mesi avevano fatto registrare, rispetto allo stesso periodo dell’anno prima, un calo relativamente contenuto (-2,7%) e del tutto in linea con l’ordine di grandezza delle tendenze regressive susseguitesi ininterrottamente dal 2009 al 2019 (-2,8% in media annua).

Cosa è dunque intervenuto ad accelerare la caduta della natalità in Italia nel tratto terminale dello scorso anno? La risposta va forse ricercata attraverso una lettura del bilancio demografico che sia capace di mettere in relazione le componenti della dinamica naturale, nascite e decessi, con un approccio diverso da quello cui tradizionalmente si è abituati. Se infatti, invece di accostare, mese dopo mese, il totale dei nati (+) e dei morti (-) per ricavarne intensità e segno del relativo saldo algebrico, provassimo ad affiancare ai numeri della mortalità accertata mensilmente quelli dei corrispondenti “presumibili” concepimenti, destinati a dar luogo al totale dei nati che figureranno nel dato statistico di nove mesi dopo , potremmo leggere la svolta nella caduta della natalità anche alla luce del legame che si è venuto a creare, a partire dalla fine di febbraio 2020, tra la progressiva diffusione della pandemia, con la percezione dei suoi effetti più drammatici fortemente alimentata dalla cassa di risonanza mediatica, e il clima di paura e incertezza che ha verosimilmente accompagnato la vita e le scelte riproduttive della popolazione in età fertile.

Per proseguire la lettura dell’intero report di Gian Carlo Blangiardo vedi: https://www.istat.it/it/files//2020/04/Report_Nati_Gennaio-2021.pdf


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Il rinnovo generazionale al centro del rilancio del Paese

ALESSANDRO ROSINA

La demografia ha una sua forte inerzia che da un lato la rende particolarmente informativa nel delineare scenari futuri, d’altro lato, però, è implacabile per chi la ignora e non mette per tempo in atto scelte solide e lungimiranti. Se a cinquant’anni una donna non ha avuto un figlio difficilmente potrà ripensarci e recuperare l’esperienza di diventare madre. E’ molto più facile che essa possa prendere un nuovo diploma, tornare a lavorare o cambiare lavoro. Le stesse condizioni di salute in età anziana dipendono fortemente da stile di vita e comportamenti in età giovanile. Ad esempio l’aspettativa di vita in buona salute a 65 anni è sensibilmente più elevata tra i laureati rispetto a chi ha titolo basso. E’ vero che anche la pensione dipende dalle scelte formative e di carriera passate, ma è più facile pensare ad una integrazione economica su un assegno troppo basso che riparare condizioni di disabilità cronica. 

Questo vale anche a livello collettivo. Una popolazione con persistente bassa natalità si troverà con un futuro di accentuato invecchiamento. Ma dato che la natalità passata va a ridurre progressivamente la popolazione in età riproduttiva, diventerà anche sempre più difficile invertire la tendenza per ridurre da oggi in poi gli squilibri prodotti. Questo meccanismo demografico fa ben capire come le scelte poco lungimiranti del passato possano diventare una trappola che depotenzia l’impegno del presente nel costruire un futuro più solido. Come tristemente ben noto, l’Italia è uno dei Paesi che maggiormente hanno lasciato crescere gli squilibri demografici (strettamente interdipendenti con quelli generazionali, di genere e geografici). 

Va inoltre precisato che quando la fecondità dei Paesi maturi avanzati rimane posizionata attorno ai due figli per donna, la popolazione smette di crescere, ma mantiene un adeguato equilibrio tra generazioni. Quando, invece, scende molto più sotto, come nel caso italiano, la popolazione anziana continua ad aumentare mentre quella più giovane precipita verso il basso, andando a minare le basi della sostenibilità sociale e della crescita economica. Tutto questo rende ancor più debole un Paese che ha lasciato crescere in passato un enorme debito pubblico, ulteriormente lievitato con l’impatto di Covid-19. Ci sarà, da un lato, sempre più bisogno di risorse per rispondere alle esigenze della popolazione anziana, mentre, d’altro lato, si inaridisce sempre di più la fonte che produce ricchezza nel paese. 

Questa carenza di risorse – se non contrastata da una azione politica consapevole e coraggiosa – rende meno generosi gli investimenti su sistema formativo, su welfare attivo, su ricerca, sviluppo e innovazione, alimentando così una spirale di deterioramento quantitativo e qualitativo della presenza e del ruolo delle nuove generazioni. In un mondo sempre più complesso e in rapido cambiamento, il basso impegno di investimento su sistemi avanzati di orientamento scolastico e lavorativo porta a far crescere il numero di giovani che si perdono nella transizione scuola-lavoro. Non è un caso che il nostro Paese si trovi a detenere il poco invidiabile record di NEET (under 35 che non studiano e non lavorano) in Europa. Con gli squilibri demografici creati, con il debito pubblico accumulato, ma anche con la necessità di nuove energie e competenze richieste dall’innovazione tecnologica e dalla green economy, dovremmo formare e impiegare ancor più e meglio le nuove generazioni e non invece renderle più deboli e marginali come finora accaduto.

Per rilanciare il Paese dopo lo shock subìto con la pandemia di Covid-19 è allora necessario ripartire da ciò che la demografia mette al centro del cambiamento, ovvero il rinnovo generazionale, sia quantitativo che qualitativo. Le grandi risorse messe in campo per rispondere all’emergenza devono, in questa prospettiva, diventare anche parte di un progetto di reindirizzamento degli investimenti sulle scelte che accompagnano e rafforzano l’entrata qualificata e la presenza solida dei giovani nei processi di sviluppo sociale ed economico del paese. O sarà anche questa una delle tante scelte mancate che ci troveremo nei prossimi decenni a rimpiangere?

in https://futuranetwork.eu/

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