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FEMMINICIDIO. Il peso del fallimento e la ferocia di Narciso

MASSIMO RECALCATI

Sappiamo bene chi sono gli uomini che odiano, maltrattano e uccidono le donne. Sono gli uomini che rifiutano la libertà della donna. È questa l’essenza più pura del maschilismo in quanto figlio naturale dell’ideologia del patriarcato. Il suo presupposto è l’idea che la donna sia afflitta da una minorità ontologica, morale e cognitiva che la consegna a non essere altro che un oggetto passivo nelle mani dell’uomo. Per questa ragione, quando la soggettività femminile fa la sua apparizione (attraverso la decisione di interrompere un legame amoroso o quella di intraprendere una carriera professionale indipendente, come è appena accaduto nel caso di Giulia), può provocare reazioni violentissime. Nel fantasma maschilista, infatti, la donna non può esprimere una soggettività libera perché viene concepita come una mera proprietà dell’uomo.

Ma la violenza che trova il suo apice nel femminicidio scaturisce sempre da una cultura fatta di umiliazioni e di offese quotidiane, di mortificazione e di negazione della libertà della donna. Può avvenire non solo come esercizio di un potere sadico, ma anche nel nome dell’amore. È questo un altro paradosso che andrebbe mostrato in tutta la sua crudeltà: nel nome dell’“amore” si può arrivare a sopprimere la libertà della donna. Nella violenza degli uomini sulle donne c’è sempre un intento fantasmaticamente pedagogico: disciplinare, regolare, purificare la loro naturale e irresponsabile peccaminosità. È il delirio moralistico che troviamo frequentemente al cuore degli uomini che maltrattano le donne: piegare con la forza e il ricatto la donna, renderla servizievole come dovrebbe essere ogni donna secondo la cultura del patriarcato.

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