Archivi tag: Corsa agli armamenti

Un grande business chiamato guerra

FRANCESCO ANFOSSI

La corsa agli armamenti sembra inarrestabile a scapito dei finanziamenti nel campo della sanità, della lotta alla fame e della tutela dell’ambiente, alimentando i conflitti, dall’Ucraina a Israele o all’Africa. E anche l’Italia fa la sua parte.

È l’economia più florida e redditizia del mondo, in crescita da decenni: più delle bigtech del digitale come Amazon o Microsoft, più dell’energia, più dell’alta finanza. I suoi titoli azionari fanno scintille e non conoscono congiuntura negativa. Stiamo parlando dell’industria degli armamenti, l’unico settore in cui l’offerta spinge la domanda, dove la domanda si chiama guerra. Con i conflitti in corso si sono ormai svuotati tutti gli arsenali e si continuano a produrre nuovi prodotti a ritmi forsennati.

Dalla caduta del Muro a oggi almeno 49 conflitti mondiali hanno alimentato gli altiforni dell’economia a mano armata. «La guerra è sempre una buona scusa per nuove commesse militari», spiega don Renato Sacco, storico animatore di Pax Christi. Le spese per gli armamenti sono di gran lunga superiori a quelle per l’istruzione, l’ambiente e la salute. E anche le banche fanno la loro parte, garantendo e alimentando la crescita dei titoli azionari.

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“Per la pace. Le risorse della diplomazia umanitaria”

MATTEO ZUPPI

Pubblichiamo il testo della Lectio magistralis “Per la pace. Le risorse della diplomazia umanitaria” tenuta il 29 aprile 2024, presso il Polo di Gorizia, dal Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, in occasione dei 50 anni del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, nel Centenario dell’Università degli Studi di Trieste.  

Premessa
Ringrazio di cuore di questa opportunità. Parlare è sempre un modo per approfondire, capire meglio, cercare nuove risposte a sfide che cambiano continuamente. Poterlo fare da questa città che porta le cicatrici della guerra, della divisione e allo stesso tempo anche la consapevolezza che la conoscenza supera tutti i muri. Le frontiere non sono mai ermetiche, ma porose, attraversate come sono da una fraternità che le supera, perché questa non può conoscere muri. L’Università poi è proprio per sua natura indispensabile strumento per capire nel profondo, per superare i muri andando alle cause profonde, quelle che poi possono unire, se risolte. Non c’è pace senza questa comprensione.

Qui avete sempre imparato a parlare tante lingue, indispensabili per conoscersi per davvero. Occorre preparare la pace, perché altrimenti non si prepara che la guerra e questa porta alla guerra, non alla pace. C’è bisogno di preparare le nostre persone alla pace, altrimenti non la sappiamo cercare. Tra le preparazioni della pace c’è senz’altro anche la giustizia e quella riparazione che è il perdono e un incontro che sani le ferite profonde, rimuova l’odio, disarmi le mani e i cuori.

Infine una considerazione sull’importanza della diplomazia. Ne abbiamo un enorme bisogno. Un diplomatico cercherà sempre di trovare una via di uscita ai problemi, non si arrende, perché è il suo mestiere, ma anche perché c’è sempre una via di uscita. La politica deve ascoltare i diplomatici e voi farlo come umanitari, perché solo se c’è una visione alta e una conoscenza profonda la diplomazia può capire le situazioni e quindi anche le soluzioni. L’umanitario svolge anche una grande opera di diplomazia, che non è parallela, ma di collaborazione. Questa è stata la “formula italiana” come disse Boutros Boutros Ghali in occasione della firma degli Accordi di pace per il Mozambico nel 1992, capaci di usare l’istituzionale (il governo italiano e anche gli osservatori inclusi nel negoziato successivamente per una migliore applicazione dello stesso) e il non governativo (la Comunità di Sant’Egidio), il formale l’informale, in un’alleanza virtuosa.

Vi auguro di diventare diplomatici pieni di umanità, di professionalità. Perché sappiamo fare funzionare le istituzioni, specie quelle sovranazionali, ma anche valorizzare il ruolo della diplomazia umanitaria. Preparare la pace significa anche le difese di questa, compresa la stessa difesa, che però è dentro il mantenimento della pace e non l’erede del Ministero della Guerra! Questa è ripudiata e non rimettere in discussione il ripudio vuol dire cercare gli strumenti indispensabili internazionali, multilaterali per i quali dobbiamo interrogarci se serve perdere sovranità o per rinnovarli e renderli efficaci.

Tra questi anche l’Europa. È possibile non avere una politica estera unita e di conseguenza una Difesa e dei Servizi di Sicurezza unici, centrali e locali, ma unitari?  Tutto può cambiare, ma per cambiare dobbiamo aspettare la tempesta della guerra che, purtroppo e a che prezzo, costringe a decisioni nuove? Non possiamo cambiare consapevolmente evitando le tragedie militari?

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Armamenti. Un mercato che non deve sfuggire ai controlli

FRANCESCO VIGNARCA

I dati del Sipri di Stoccolma sono sempre molto utili per andare a corroborare con numeri e cifre le tendenze del mercato delle armi, in generale delle spese militari, che sono evidenti a chi si occupa di questo settore. In particolare i Trends in international arms transfers appena usciti con riferimento al 2023 ci permettono di capire quali industrie militari (e di conseguenza quali Paesi) stiano spingendo sul commercio di armi non solo come fonte di ritorno economico ma anche – in alcuni casi soprattutto – come strumento di influenza e intervento nei conflitti e nelle zone più turbolente del globo.

Per tali motivi è sicuramente importante valutare gli aspetti più rilevanti che si possono trarre dagli ultimi dati. Ricordando che le cifre del Sipri sul commercio di armi fanno riferimento ad un trend-indicator value (Tiv) che per sua natura va preso come segnale di una dinamica e non nel suo valore assoluto.

Il primo elemento riguarda il valore globale del commercio di armi, che continua a salire sia su base annua che valutando andamenti a blocchi di cinque anni (per sua natura sia di accordi che di produzione, la vendita di armamenti si realizza su periodi medio-lunghi, da qui la necessitò di uno sguardo pluriennale). Non deve trarre infatti in inganno che l’ultimo quinquennio abbia totali leggermente inferiori al precedente, perché in tale periodo sono inseriti gli anni del Covid che hanno in un certo senso messo in pausa anche l’economia di questo comparto. La ripresa degli ultimi due anni è già ben visibile e sicuramente andrà a rafforzarsi ulteriormente nell’immediato futuro, a causa delle robuste crescite già previste per la spesa miliare nel suo complesso e per quella particolare relativa al procurement armato.

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L’industria delle armi che alimenta i conflitti

MAURO ARMANINO

«Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: mai più la guerra, mai più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità! Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno. Le armi, quelle terribili specialmente, che la scienza moderna vi ha date, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli».

Era il 4 ottobre del 1965. Papa Paolo VI indirizzava questo messaggio ai 166 Paesi rappresentati in quel momento all’Assemblea delle Nazioni Unite. L’organizzazione svedese “Uppsala Conflict Data Program” registrava, nel 2022, cinquantacinque conflitti armati nel mondo, dei quali otto considerati come guerre. Ci risiamo. In tutti questi anni, nella complice adesione di Paesi e Comunità Internazionale, i fabbricanti di armi hanno pienamente risposto alle aspettative e attese delle élite politico-finanziarie che vogliono ad ogni costo perpetuarsi al potere.

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Le guerre stanno divorando il mondo. La fame (in aumento) moltiplica le crisi

MATTEO FRASCHINI KOFFI

Tra le prime cause della carenza di cibo ci sono i conflitti civili. Ma incidono anche fenomeni naturali legati al riscaldamento del pianeta e agli choc economici aggravati dalla pandemia di Coronavirus. La maggior parte degli Stati in sofferenza si trovano sul Continente africano: fragilità che causano l’esodo di milioni di persone.

È stato pubblicato ieri dal network FSIN il “Rapporto globale sulla crisi alimentare” (Grfc). Commenti e analisi derivati dagli studi di diverse agenzie internazionali descrivono una situazione radicalmente aggravata nell’ultimo anno. Guerre civili, crisi economiche e disastri ambientali sono le principali cause degli alti livelli di insicurezza alimentare registrati durante il 2022 nel mondo. «Almeno 258 milioni di persone hanno bisogno di aiuti alimentari di emergenza contro i 183 milioni dell’anno prima – stima il Grfc –. Tra le varie cause ci sono conflitti civili, fenomeni naturali legati al riscaldamento globale e le diverse crisi economiche aggravate con la pandemia di Coronavirus». Gran parte degli Stati analizzati dal rapporto si trovano sul Continente africano. La fragilità di questi sistemi politici e economici hanno spesso causato l’esodo di milioni di persone che, al momento, vivono come rifugiati in altri Stati oppure si trovano come sfollati all’interno del proprio Paese.

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