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Galantino: tradisce la verità una Chiesa clericale. «Sinodalità, serve una spiritualità di comunione»

MIMMO MUOLO

Il Sinodo «non è una questione di aggiustamenti o riposizionamenti interni alla Chiesa. Un Sinodo così inteso è destinato a incidere davvero poco. Ce lo ricorda continuamente il Papa». Al contrario «una Chiesa che fa suo il metodo e i contenuti del cammino sinodale e che non smette – in tutti i suoi membri – di essere aperta all’azione dello Spirito in ordine alla realizzazione della communio, è una Chiesa che può contribuire con maggiore credibilità a rendere migliore questo mondo». Parola del vescovo Nunzio Galantino, presidente emerito dell’Apsa, che nei giorni scorsi è intervenuto alla presentazione dei volumi della Edb Sinodalità e comunione di Eugenio Corecco e Piccola scuola di sinodalità a cura di Lucia de Lorenzo e Massimiliano Proietti.

Galantino ha citato il teologo Yves Congar, quando diceva che in molti «persiste implicita l’idea che la Chiesa è fatta dal clero e che i fedeli ne sono solamente i beneficiari o la clientela. Questa orribile concezione si è impressa in così tante strutture e abitudini da sembrare scontata e impossibile da cambiare» E invece è tradimento della verità. C’è ancora molto da fare per declericalizzare la nostra concezione della Chiesa, senza ovviamente, attentare alla struttura gerarchica». Ne consegue che «la conversione invocata, prima del cambiamento delle strutture, richiede la maturazione di una spiritualità del “noi” ecclesiale”, come scrive Corecco. E dunque anche la sinodalità «richiede attitudini spirituali, che vanno coltivate e che non possono essere estranee ai percorsi di formazione di laici e ministri ordinati». In altri termini serve «una spiritualità della sinodalità che fa, di fatto, riferimento a una spiritualità di comunione, criterio di appartenenza alla Chiesa».

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#prendersi per mano

GIANFRANCO RAVASI

Un vento glaciale infuria da nord, / la neve vien giù a larghi fiocchi. / Amici miei, prendiamoci per mano, / e andiamocene via tutti insieme.

Figura dai contorni mitici, Confucio è un po’ il vessillo dell’antica cultura e spiritualità cinese. Vissuto tra il VI e il V secolo a.C., ha generato una tradizione che gli ha attribuito una serie di opere tra le quali spicca il Libro delle Odi, destinato a una fama parallela a quella assegnata ai Dialoghi. Abbiamo citato pochi versi capaci di creare visivamente un quadretto invernale retto su un contrasto. Da un lato, c’è il brivido che pervade il corpo col soffio del vento gelido e con la neve che scende a larghe falde. D’altro lato, c’è il tepore di due mani che si stringono e che spingono a sfidare il freddo e a raggiungere un riparo o una meta sicura.

«Prendersi per mano» è un’espressione comune per indicare una solidarietà nel pericolo o nella prova; è il passaggio dall’«io» autoreferenziale e orgoglioso al «noi» fraterno. Rimanendo nell’atmosfera sapienziale antica, ascoltiamo un ideale commento al tema, offerto dal Qohelet/Ecclesiaste, sapiente biblico del III secolo a.C.: «Meglio essere in due che uno solo: se cadono, l’uno rialza l’altro. Guai a chi è solo! Se cade, non ha nessuno che lo rialzi. Inoltre, se si dorme in due, si sta caldi: ma uno solo come fa a riscaldarsi?» (4,9-11). Come ha proposto il filosofo francese Jean-Luc Nancy (1940-2021), all’affermazione Ego sum, «io sono», è necessario aggiungere sempre un Ego cum, «io sono con» l’altro, col mio prossimo, e solo così si ha la pienezza della persona.

in “il Sole 24 Ore” del 15 gennaio 2023

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