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Scuola. “Le soft skills non bastano a educare: serve una direzione di senso”

GIORGIO CHIOSSO

Il saggio di Sara Nosari ed Emanuela Guarcello “Quali skills per l’umano? Un contributo al dibattito non cognitivo/cognitivo” è illuminante per chi sta alla frontiera della scuola

Come quotidianamente sperimentiamo, ci sono disposizioni di natura emotiva, relazionale, temperamentale negli alunni – e più in generale nelle persone – che esercitano un’importante influenza sullo sviluppo del potenziale cognitivo e sulla partecipazione alla vita attiva. Da qualche tempo anche su tali disposizioni (in verità non con la medesima intensità con cui si sono indagati gli esiti dell’apprendimento) si è finalmente concentrata l’attenzione degli studiosi. L’Ocse le definisce qualità socio-emozionali, altri esperti preferiscono distinguere tra cognitive skills e non-cognitive skills, altri ancora si tengono più sul generale parlando di soft skills. Qualcuno si porta più in là con la denominazione di character skills.

La varietà di definizioni documenta come il territorio delle disposizioni non cognitive della persona sia ancora aperto e insufficientemente esplorato. Il punto di mediazione più recente inquadra le non cognitive skills o socio-emotional skills in cinque categorie così definite dalla ricerca sul tema dell’Ocse compiuta nel 2023: performatività (perseveranza, responsabilità, autocontrollo, e motivazione al raggiungimento dei risultati); regolazione emotiva (resistenza allo stress, controllo emotivo, e ottimismo); relazione con gli altri (assertività, socievolezza, ed energia); apertura mentale (curiosità, creatività, e tolleranza) e collaborazione (empatia, fiducia, e cooperazione). Una catalogazione più articolata, ma non distante da quella a suo tempo proposta da McCrae e Costa, i due studiosi statunitensi che per primi hanno definito i tratti di personalità noti come Big Five.

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