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Povertà. Le diseguaglianze bloccano la crescita

LINDA LAURA SABBADINI

Non dobbiamo abituarci a una povertà elevata e strutturale. Dobbiamo combatterla. E non pensare che la crescita dell’occupazione possa automaticamente farla abbassare. Sono i dati a dimostrarlo. La povertà assoluta ha colpito nel 2023 il 9,8% della popolazione, secondo l’Istat. È stabile rispetto all’anno precedente. Come mai resta stabile, nonostante il numero di poveri sia passato da 5 milioni 674 mila a 5 milioni 752 mila ? Perché l’incremento che sembra esserci nei dati non è significativo statisticamente.

La stabilità non è, però, una buona notizia. Perché dopo che la povertà assoluta era raddoppiata nel 2012 e triplicata per minori e giovani, non siamo mai più tornati ai livelli precedenti. Anzi, questa è cresciuta ulteriormente nel 2020, a seguito della pandemia, e nel 2022.

Era stata la crisi del 2008-2009 a creare i presupposti per il balzo storico della povertà in Italia. Balzo che non avvenne contestualmente alla diminuzione dell’occupazione. La crisi si era protratta. E così le famiglie avevano iniziato a dare fondo ai risparmi, e a indebitarsi, per mantenere lo stesso standard di vita, fino a quando non ce l’hanno fatta più. E una parte è caduta in povertà. I dati Istat ci dicono due cose. Primo. Non c’è automatismo tra aumento di occupati e riduzione della povertà. Infatti, il numero di occupati è cresciuto nel 2023 di 474 mila unità.

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Lavoro. “Ripresa con il freno tirato a mano”. Rapporto Inapp 2023

INAPP, Comunicato stampa

Alla Camera dei Deputati è stato presentato oggi il Rapporto 2023 dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche. Dopo la crisi generata dalla pandemia il mercato del lavoro italiano ha ricominciato a crescere ma questo percorso appare “accidentato” dalle criticità strutturali che lo caratterizzano: bassi salari, scarsa produttività, poca formazione e un welfare che fatica a proteggere tutti i lavoratori, non avendo alcun paracadute per oltre 4 milioni di lavoratori ‘non standard’ dagli autonomi, a chi è stato licenziato o è alla ricerca di un’occupazione, passando per i lavoratori della gig economy fino ai cosiddetti working poors. In più sta emergendo sul fronte dell’utilizzo della forza lavoro il fenomeno del labour shortage: la difficoltà delle imprese a coprire i posti vacanti, allargandosi sempre più così la forbice del matching tra domanda e offerta di lavoro.

IL PROBLEMA DELLA QUESTIONE SALARIALE

Tra il 1991 e il 2022 – si legge nel Rapporto Inapp – i salari reali sono rimasti pressoché invariati, con una crescita dell’1%, a differenza dei Paesi dell’area Ocse dove sono cresciuti in media del 32,5%. In particolare, nel solo 2020 (terzo nell’anno della pandemia da Covid-19) si è registrato un calo dei salari in termini reali del -4,8%. In quest’anno si è registrata anche la differenza più ampia con la crescita dell’area Ocse con un -33,6%. Accanto a questo problema si è sviluppato anche quello della scarsa produttività: a partire dalla seconda metà degli anni Novanta la crescita della produttività è stata di gran lunga inferiore rispetto ai Paesi del G7, segnando un divario massimo nel 2021 pari al 25,5%.

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