Archivi tag: Agromafie

La legge spietata dei clan agro-mafiosi

MARCO OMIZZOLO

La tragedia di Satnam è inaudita, ma si inserisce in un corollario di altre tragedie che si sono ripetute nel corso degli ultimi anni. Ed è l’ennesimo caso di omicidio per sfruttamento determinato dalla sete di potere e di denaro di imprenditori criminali riconducibili al sistema agromafioso, in questo caso specifico peraltro già noto alle forze dell’ordine. Imprenditori che anziché rispettare la legalità e i diritti usano le persone a proprio piacimento come oggetti, salvo poi buttarli in un canale anche con un braccio spezzato quando questo oggetto si rompe. Siamo dentro la dinamica della “necropolitica”, cioè di un sistema che produce morte, e insieme alla morte, profitto.

Secondo l’istituto Eurispes il business delle agromafie in Italia è di circa 24, 5 miliardi di euro, denaro contante che deriva dalla cancellazione dei diritti del lavoro e dei diritti umani in capo a circa 450 mila braccianti – uomini e donne italiane e stranieri – che resta nelle tasche di padroni, padrini, trafficanti e criminali di diversa natura.

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Schiavi nei campi. Agromafie e caporalato in Italia. Report 2022

PAOLO BARONI

«Se accetti – dice M. A. – sai che la paga oscilla tra 25 e 35 euro, a seconda del caporale e secondo il tipo di lavoro da svolgere e dove viene svolto, e che 5 euro sono per il trasporto. E quante ore bisogna lavorare. Ma c’è un’altra questione da considerare: sapere chi è il caporale e come tratta gli operai» aggiunge questo 28enne originario del Mali, un diploma di scuola superiore, in Italia dal 2016 e da ultimo occupato nelle campagne calabresi, tra le serre di Lamezia o i campi di cipolle di Amantea. «La regola – spiega M. A. – è che gli africani lavorano con i caporali africani e i lavoratori marocchini con i caporali marocchini, e così per i romeni o i bulgari. E non è detto che un caporale di un’altra nazionalità sia più severo o minaccioso oppure più violento di quello della tua comunità».

Secondo l’ultimo rapporto, il sesto della serie, che fotografa il fenomeno delle agromafie e caporalato realizzato dallOsservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil presentato ieri a Roma, in Italia sono 230 mila i lavoratori irregolari (ben 55 mila le donne) occupati in agricoltura, il 34% del totale. Il rapporto precedente ne aveva invece contati 180 mila: questo esercito di sfruttati e maltrattati è insomma aumentato di un terzo. E se è vero, come segnala lo studio, che il lavoro agricolo subordinato non regolare è radicato soprattutto in Puglia, Sicilia, Campania, Calabria e Lazio con tassi che superano il 40%, è anche vero che in molte regioni del Centro-Nord gli occupati non regolari rappresentano una quota ugualmente rilevante, compresa tra il 20 e il 30%. Percentuali, al Nord come al Sud, che raddoppiano quasi prendendo in considerazione il peso dei lavoratori migranti, in particolare quello dei cittadini comunitari.

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“Custodia del creato, legalità, agromafie”. Messaggio CEI

La Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace

Pubblichiamo il Messaggio per la 72ª Giornata Nazionale del Ringraziamento che si celebrerà il prossimo 6 novembre sul tema: “«Coltiveranno giardini e ne mangeranno il frutto» (Am 9,14). Custodia del creato, legalità, agromafie”.

L’agricoltura tra corruzione e cura

L’agricoltura è un’attività umana che assicura la produzione di beni primari ed è sorgente di grandi valori: la dignità e la creatività delle persone, la possibilità di una cooperazione fruttuosa, di una fraternità accogliente, il legame sociale che si crea tra i lavoratori. Apprezziamo oggi più che mai questa attività produttiva in un tempo segnato dalla guerra, perché la mancata produzione di grano affama i popoli e li tiene in scacco. Le scelte assurde di investire in armi anziché in agricoltura fanno tornare attuale il sogno di Isaia di trasformare le spade in aratri, le lance in falci (cf. Is 2,15).

Non poche volte all’interno dell’attività agricola si infiltra un agire che crea grandi squilibri economici, sociali e ambientali. È ormai ampiamente documentata in alcune regioni italiane l’attività fiorente delle agromafie, che fanno scivolare verso l’economia sommersa anche settori e soggetti tradizionalmente sani, coinvolgendoli in reti di relazioni corrotte. Il riciclaggio di denaro sporco o l’inquinamento dei terreni su cui si sversano sostanze nocive, il fenomeno delle «terre dei fuochi» che evidenziano i danni subiti dagli agricoltori e dall’ambiente, vittime di incendi provocati da mani criminali, sono esempi di degrado. Nelle imprese catturate da dinamiche ingiuste si rafforzano comportamenti che minacciano ad un tempo la qualità del cibo prodotto e i diritti dei lavoratori coinvolti nella produzione. Si tratta di strutture di peccato che si infiltrano nella filiera della produzione alimentare: si pensi alle forme di caporalato, che portano a sfruttamento e talvolta alla tratta, le cui vittime sono spesso persone vulnerabili, come i lavoratori e le lavoratrici immigrati o minorenni, costretti a condizioni di lavoro e di vita disumane e senza alcuna tutela. Parlare di «agromafia» significa anche parlare di pratiche di agricoltura insostenibili dal punto di vista ambientale e di sofisticazione alimentare che mina la tutela dei prodotti cosiddetti “dop”, così come uso di terreni agricoli per l’immagazzinamento di rifiuti tossici industriali o urbani.

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Sfruttamento, 200mila “schiavi” in agricoltura

Antonio Maria Mira

Presentato il quinto rapporto “Agromafie e caporalato” realizzato dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil. Gli irregolari sono 400mila

Sono circa 200mila i “vulnerabili” in agricoltura, gli “schiavi” della terra in mano a caporali e imprenditori sfruttatori. E più di 400mila gli irregolari. Immigrati e italiani. Numeri in crescita. Basti pensare che i “vulnerabili” erano 140mila nel 2017 e 160mila nel 2018. Gli attuali 200mila sono la somma tra 136.400 unità occupate completamente al nero e circa 60mila lavoratori che, seppur registrati dall’Inps, risultano avere un contratto informale e una retribuzione inferiore a quella prevista dalle normative correnti. Al Nord come al Sud.

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