Archivio mensile:novembre 2019

Religione. Alla ricerca di Dio tra le contraddizioni del mondo moderno

Roberto Righetto

«Mi manca la fede e non potrò mai, quindi, essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa»: è uno dei passi emblematici del monologo Il nostro bisogno di consolazione di Stig Dagerman, scrittore svedese, morto suicida a soli 31 anni nel 1954. Quando apparve in Italia nel 1991, questo giornale fu il primo a parlare del libro, e in maniera entusiasta. Perché dentro il nichilismo che esprime è racchiuso un inno alla vita, nonostante egli fosse convinto che l’uomo è solo polvere e scrivesse che «l’eternità non si cura di me». Assieme a Vasilij Grossman e al suo racconto dell’orrore di Treblinka, che per primo descrisse quando entrò nel campo di sterminio assieme all’esercito sovietico nell’autunno del 1944 («la striscia nera, funerea, di cenere che attraversava i boschi e i campi»: espressione non più di un buio interiore ma dell’inferno che l’uomo è capace di infliggere all’altro uomo), Dagerman è il primo autore con cui si mette a confronto Erik Varden nel suo volume La solitudine spezzata.

Nato in Norvegia e già ricercatore a Cambridge, Varden è entrato in monastero nel 2002; ora è abate di Mount Saint Bernard in Inghilterra. Il libro, che in Italia è appena stato tradotto da Qiqajon (pagine 152, euro 16), è un invito a recuperare il senso della memoria cristiana in un momento storico in cui egli deve ammettere che «termini come ‘grazia’, ‘peccato’, ‘redenzione’, perfino ‘Dio’, sono ampiamente diventati privi di significato», per poi specificare che, «il nostro tempo è diffidente verso le parole e rifugge i dogmi, eppure conosce il significato del desiderio. Desidera confusamente, senza sapere che cosa, se non la sensazione di avere inAgus.jpg sé un vuoto che necessita di essere riempito».

E qui Varden esprime parole severe sullo stato del cristianesimo, che è affetto di spiritualismo e «manca di credibilità incarnata», incapace di guardare avanti e propenso a recriminare e a invocare il bel tempo perduto. Come la moglie di Lot, i credenti oggi molto spesso hanno nostalgia degli agi della cristianità e finiscono per rinchiudersi in una fortezza o per farsi prendere dalla depressione spirituale. Quell’accidia che i monaci conoscono bene, assai prima di Freud. Pur non condannando la donna che uscendo da Sodoma si volge indietro, un gesto che come disse Origene con tenerezza esprime il proprio dell’uomo di essere fatto di carne (e che anche Anna Achmatova ha esaltato in una poesia commovente uscendo dal cliché di fumetto teologico), Varden rammenta col cardinale Newman che «essere a proprio agio vuol dire non essere al sicuro » e che «non è mai troppo tardi per trasformarsi in una statua di sale».

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I giovani hanno capito che le emergenze dell’umanità richiedono risposte globali

Jeffrey Sachs, intervistato da Paolo Mastrolillo

«I giovani hanno capito che le emergenze dell’umanità, dal clima alla disuguaglianza, richiedono risposte globali. Nazionalismo e sovranismo non risolvono i nostri problemi, e perciò dobbiamo sperare che questi scioperi siano l’inizio di un cambiamento di tendenza in tutto il mondo».

L’economista della Columbia University Jeffrey Sachs si occupa di questi temi da molti anni, anche come consigliere del segretario generale dell’Onu Guterres. Perciò gli chiediamo se gli scioperi come quello di ieri possono avere un impatto concreto.

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«I giovani hanno completamente ragione. Tutti i dati più recenti, da quelli in arrivo dalla Cina fino all’ultimo rapporto Onu, confermano che la situazione è orribile e molto pericolosa per il loro futuro. Ciò dipende in parte dalle scelte di Trump, e dalla distrazione del resto del mondo. L’impatto concreto che avranno resta da vedere. Di sicuro hanno avuto un grande effetto sull’Europa, che con gli impegni presi dalla Commissione e dal Parlamento, è diventata la leader sull’emergenza climatica. Ora Bruxelles dovrà usare la sua influenza in Asia e sugli Usa».

È possibile convincere Trump a considerare il problema del clima, o bisognerà aspettare un’amministrazione futura?

«La politica Usa è molto corrotta. L’industria dei combustibili fossili spende tanti soldi per comprare i repubblicani, finanziando le loro campagne. Trump è un sociopatico pericoloso, ma riflette le posizioni del Senato a maggioranza repubblicana, che riflette quelle delle compagnie petrolifere. La maggioranza degli americani lo sa e vorrebbe intervenire, ma la corruzione dei repubblicani impedisce di farlo».

Lo sciopero è coinciso col Black Friday: la «generazione di Greta» sta cambiando anche l’atteggiamento verso capitalismo e consumismo?

«C’è una forte leadership tra i giovani, soprattutto in Europa, ma l’instabilità e le proteste contro la plutocrazia stanno dilagando ovunque, dal Cile ad Hong Kong, dall’Iraq alla Colombia. La causa è l’incapacità dei governi di affrontare le sfide vere. Se questa inabilità proseguirà, l’effetto sarà l’ingovernabilità dei Paesi. Gli Usa per ora sono più calmi, ma succederà anche da noi».

Vuol dire che il sovranismo sta fallendo?

«L’ondata nazionalista va contro la realtà, perché fronteggiamo sfide globali, che possono essere affrontate e superate solo con la collaborazione internazionale. Se persisteremo con le politiche di Trump, Bolsonaro, e i populisti europei, finiremo per essere incapaci di risolvere qualsiasi cosa, e il caos crescerà. I giovani lo capiscono, almeno per l’emergenza clima. Dobbiamo sperare che ciò porti al rigetto complessivo del trumpismo, perché il sovranismo è antitetico alla realtà».

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Anche la disuguaglianza è parte dell’emergenza, e molti puntano il dito contro la globalizzazione. Quali rimedi suggerisce?

«La globalizzazione di per sé non è una barriera alla giustizia sociale. I Paesi dell’Europa settentrionale come Svezia, Norvegia, Danimarca, continuano a essere società uguali, ma nello stesso tempo aperte e ingaggiate nei commerci internazionali, che usano proprio per i loro alti standard di vita. La globalizzazione entra in questa equazione perché promuove la corsa verso il basso nella raccolta delle tasse, aprendo spazi per i paradisi fiscali e l’evasione. I governi cercano di attirare le grandi corporation e i ricchi, offrendo facilitazioni, ma così perdono le risorse per finanziare servizi sociali come la sanità, l’istruzione, gli asili, essenziali per contrastare la disuguaglianza. Gli Usa hanno guidato questa tendenza, con i tagli voluti da Trump per difendere gli interessi della plutocrazia americana. Il mondo lo sta seguendo, e i profitti finiscono solo nelle tasche dei più ricchi. Serve una risposta fiscale coordinata, in cui tutti i governi dicano insieme che non permetteranno più l’erosione della base fiscale in rapporto soprattutto ai ricavi delle grandi aziende. I soldi recuperati dovranno essere destinati a finanziare i servizi sociali che rendono decenti le nostre società, e quindi risolvono il problema della disuguaglianza, che alimenta populismo e sovranismo. Questo però si può fare solo attraverso una risposta politica, che diventa molto difficile quando la politica è distorta e corrotta come accade oggi negli Usa».

in “La Stampa” del 30 novembre 2019

Parlamento europeo. Dichiarato lo stato d’emergenza climatica

Il Parlamento vuole che l’UE si impegni, alla conferenza delle Nazioni Unite COP25, per una riduzione a zero delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2050.

In vista della COP25, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà dal 2 al 13 dicembre a Madrid, il Parlamento ha approvato giovedì una risoluzione che dichiara un’emergenza climatica e ambientale in Europa e nel mondo. Il PE chiede alla Commissione di garantire che tutte le proposte legislative e di bilancio pertinenti siano pienamente in linea con l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 °C.

In un’altra risoluzione separata, il Parlamento esorta l’UE a presentare alla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici una strategia per raggiungere la neutralità climatica al più tardi entro il 2050. I deputati chiedono inoltre alla nuova Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen di includere nel Green Deal europeo un obiettivo di riduzione del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030.

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Aumentare la riduzione delle emissioni globali per il trasporto aereo e marittimo

Le ambizioni attuali del trasporto aereo e marittimo non sono all’altezza delle riduzioni necessarie riduzioni delle emissioni. Tutti i paesi dovrebbero includere tali emissioni nei loro piani di contribuzione nazionale (NDC). Si chiede inoltre alla Commissione di proporre l’inclusione del settore marittimo nel Sistema UE di scambio delle quote di emissione (ETS).

Maggiore sostegno finanziario per la lotta ai cambiamenti climatici

Secondo il PE, I Paesi UE dovrebbero quantomeno raddoppiare i loro contributi al Fondo verde internazionale per il clima. Gli Stati membri sono i maggiori fornitori di finanziamenti pubblici per il clima e il bilancio dell’UE dovrebbe rispettare pienamente gli impegni internazionali. Inoltre, si sottolinea che gli impegni dei paesi sviluppati non raggiungono l’obiettivo collettivo di 100 miliardi di dollari all’anno a partire dal 2020.

Infine, si chiede con urgenza a tutti i Paesi UE di eliminare gradualmente tutte le sovvenzioni dirette e indirette per i combustibili fossili entro il 2020.

Citazione

Pascal Canfin (RE, FR), Presidente della commissione parlamentare per l’ambiente, la salute pubblica e la sicurezza alimentare, ha dichiarato: “Il Parlamento europeo ha appena adottato una posizione ambiziosa in vista della prossima COP25 di Madrid. Data l’emergenza climatica e ambientale, è essenziale ridurre le nostre emissioni di gas a effetto serra del 55% entro il 2030. Si tratta inoltre di un messaggio chiaro e tempestivo alla Commissione, alcune settimane prima della pubblicazione della comunicazione sul Green Deal”.

Contesto

La risoluzione sulla dichiarazione di emergenza climatica e ambientale è stata approvata con 429 voti a favore, 225 contrari e 19 astensioni.

La risoluzione sulla COP25 è stata approvata con 430 voti favorevoli, 190 contrari e 34 astensioni.

Contesto

Diversi paesi, amministrazioni locali e scienziati hanno dichiarato che il nostro pianeta sta affrontando un’emergenza climatica. La Commissione europea ha già proposto l’obiettivo delle emissioni nette-zero entro il 2050, ma il Consiglio europeo non l’ha ancora approvato poiché Polonia, Ungheria e Cechia sono contrarie.

Il Parlamento alla COP25

La COP25 si terrà a Madrid dal 2 al 13 dicembre 2019. Il Presidente del Parlamento Europeo David Maria Sassoli, (S&D, IT) sarà presente all’inaugurazione ufficiale. Una delegazione del Parlamento europeo, guidata da Bas Eickhout (Verdi/ALE, Paesi Bassi), sarà presente dal 9 al 14 dicembre.

Per ulteriori informazioni

La tentazione del “muro” si radica nelle pulsioni primarie dell’umano

MASSIMO RECALCATI

La tentazione del muro percorre ancora, dopo la stagione terribile dei totalitarismi novecenteschi, l’Occidente: dagli Stati Uniti di Trump all’Ungheria di Orban passando dalla Brexit inglese. Questa tentazione non è solo politica, ma si radica nelle pulsioni primarie dell’umano. L’uomo, infatti, non è solo anelito alla libertà, tensione verso l’aperto, passione per il viaggio, nomadismo, erranza, ma è anche, primariamente, passione per le radici, il suolo, la frontiera.

usa-messico.jpgIl bisogno del confine e della sua difesa non è una aberrazione reazionaria, ma connota una profonda necessità umana. La sua declinazione patologica si mostra solamente quando questo bisogno prevale a senso unico sulla dimensione aperta dell’esistenza richiudendo melanconicamente la vita. Ma di fondo questa tentazione resta “umana troppo umana”. La saggezza freudiana non sorvola su questo paradosso: siamo disposti a contrabbandare la nostra felicità in cambio della nostra sicurezza. È un vecchio adagio che troviamo anche in Spinoza: l’umano può mostrare paradossalmente di amare di più le catene della libertà. In gioco è la sovversione della definizione aristotelica dell’uomo come “animale sociale”. È il passo inaudito compiuto dall’ultimo Freud: esiste una pulsione più antica di quella vitale di Eros.

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“The death penalty is useless, injust, incompatible with human rights “

MARIO MARAZZITI

Honourable President, Ministers Authorities, Representatives coming from many countries in the world, gathered here at the invitation of the Community of Sant’Egidio. We are here to find and promote the ways to give the world and our peoples more justice and security in a more human way, never destroying life, not even the life of the guilty ones.

Dear friends. We have a special responsibility, and we cannot escape from it. We are the first generation in history to witness a turning point after millennia, and to have the chance to be part of it and to fasten it: a world without the death penalty is replacing the old one. A world without executions, without human sacrifices, is approaching: and we have to decide on which side of history we want to be and to stand.

Our world, actually, has been at ease with the use of the death penalty since the very beginning of history itself. But, as I said, we are now at a turning point in the history of the world. In 1975, 16 states only had abolished it. Last year, the proportion was reversed: 23 states sentenced citizens to death and 53 only, out of 200, passed capital sentences, while 30 of them did not applied them. Just a year ago there were 121 ‘yes’ at the UNGA’s Resolution for a Universal Moratorium, an improvement on the 117 in favour of the final vote just two years earlier.

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Looking at the last year 106 countries had abolished the death penalty in law for all crimes and 142 countries had abolished the death penalty in law or practice. Burkina Faso abolished the death penalty for ordinary crimes last June and I want to pay homage to the courage of its leadership. In February and July respectively, Gambia and Malaysia both declared an official moratorium on executions. In the US, the death penalty statute in the state of Washington was declared unconstitutional in October. Governor Newsom commuted all the 750 death sentences and closed the death chamber in California, while New Hampshire abolished by a bipartisan large vote the death penalty in one of the founder states of America. And let me pay homage to one of the heroes of this two decades work for abolition, my friend Representative Renny Cushing. Tomorrow we will light up the Colosseum to celebrate this historical event.

The path to abolition has an impressive, very recent, record
.

If we look at Africa, in 1981 Cabo Verde was the first country to abolish capital punishment. Starting from the Nineties, 20 African states have abolished it and other countries can be counted in the group of the de facto abolitionists. Just to have an idea of this acceleration, Togo and Burundi abolished it in 2009, Gabon in 2010, as a development of the process started with the Dialogue Africa for Life promoted by Sant’Egidio. Then Madagascar, in 2014, Congo Republic in 2015, Benin in 2016, Guinea Conakry in 2017, and now, as I said,  Burkina Faso.
It is not a matter of if the death penalty will ever disappear, like slavery and torture, at least in the books of the states’ laws. It is only a matter of when it will definitively disappear. And, again, we have to decide if we want to be in the group of those who want to participate at this turn in history or if we want, sadly, try to resist.

But it is not a linear process, and this is why we are here. Because violence, hatred, fascination for the use of weapons and war as a way to solve conflicts are increasing worldwide and also in countries and continents that have abolished capital punishment.

We are here today just after the world has interrogated itself of the growth of violence against women. If we look at Italy, the study on women’s security shows that at least 2 million women have suffered in life physical or sexual violence, and if separated or divorced, the risk of violence from their partner doubles. Over the last 5 years half a million women in Italy have suffered violence by a former partner. Even if in Italy we have a low rate of homicides, compared to many countries in the world and to other European countries, one murder out of two, the half, is committed inside family (49,2%).  But there are some data that are even more worrisome to me: The killing of sons and daughters, i figlicidi, increased by 55% over the last year. Among the victims, foreigners, migrants, are 1 out of 5, even if migrants in Italy are 10 per cent. It has grown esponentially the number of victims of weapons in homes. While the ownership has increased by 97% in Italy only over one year, doubling, in 2018 4 victims out of 10 inside the family has been killed by firearms. Yet, even in a country that has a homicide rate fallen to 0,59 out of 100,000 inhabitants, while in Latvia, we have a tenfold rate, 8 times in Lithuania and in the United States (5,0 x 100.000 inhabitants), 0,91 in Germany, more than the double than Italy in France and the UK (respectively 1,31 and 1,15). And we are far from the terrible figures, in any case, of Mexico, where take place almost 3,000 homicides every month. But we are not immune, no country is immune from this growing fascination of hatred and violence. 
Let me say that in this international frame, it sounds disproportionate  and unjustified, up to sound as a distraction from reality, the stress on fear and self defense in Italy, channeled into fear of minorities and migrants, when most of the extreme violence happens inside homes and families, is perpetrated by individuals well known in advance by the victims, and among the victims migrants are over represented, so as to say that their life in Italy is twice at risk of being target of violence that Italian residents.

Why, then, are we today to discuss if it is worth it to stop state killings and the death penalty, in a time of growth of hatred speech, of growth of micro and macro violent attacks against minorities, of resurgent antisemitism? I think that today we have a new reason to stop the death penalty: because in a time of growing production and commerce of arms, weakening of multilateralism, unilateral infringements of international laws and treaties, sometimes by countries that have had a crucial role in the stabilization of the world, in a time of growth of nuclear escalation  that seemed over forever, of regional clashes and wars and of silent legitimization of aggressiveness also in private lives and in social life the only way to prevent destructive abuses on human lives is to get rid at its roots any culture of death.
My mind turns to the 35,000 deaths by suicide or homicide caused by firearms that occur on average every year in the United States, where there are 270 million personal weapons, more than one for every inhabitant.
Does the death penalty help societies to be safer or does it really tackles the most heinous crimes? I have no evidence of this, not one case in the world that can be used irrefutably to demonstrate that the death penalty is a deterrent.
It is an illusion to believe and to make people believe that those who are nourished by a culture of death, such as terrorists, can be stopped by the fear of the death penalty. Capital punishment is a deterrent only on non violent people.

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It is an illusion also to believe and to sell as truth that 250 million people around the world who take drugs, 5.2 per cent of the world’s population, will refrain and shrink thanks to a repression implemented through capital punishment. And it is a lie.

There are many lies around the death penalty, starting from the language: it is called execution what is killing. In ancient Italian capital death was called “giustizia”, justice. If we give it real names then it becomes to embarrassing for a society.

It is a lie the argument that the only way to reimburse a family who had a loss, and to offer them “closure”,  is by killing the author of the killing. It is instead a way to freeze the families for years in the worst moments of their life, waiting for revenge, given the promise that closure would coincide with the moment of the new killing as reimbursement. No psychologist would ever say that closure is a punctual moment, since it is a process. But on the death penalty there are many legends accepted as truth.

When you have one  out of 100 homicides punished with the death penalty if that is the only way to make justice, what about the other 99 families? And if we look at Japan, there is one person on death row out of one million of Japanese. If 120 people die or stay alive in a prison or with a chance to give back something to society, nothing for the security of Japanese citizens changes. But all can change if they stay alive and the State stays forever  away from the risk of wrongful convictions, that break the confidence between the state and its own citizens.
Some insist even there that death is useful all the same to create harmony and balance and gives back something to the victims. In Japan  the state killing by hanging is inflicted on 1 out of 600 murderers. If executions are the only way to reimburse the families victims and society, what about the other 599 cases?
This is why last week, in Japan, Sant’Egidio promoted an International Conference inside the Japanese Diet, with the All Party Parliamentarian Group to discuss the future of the Death Penalty in Japan, and with the Japanese Federation of lawyers, and I have launched with this support
The request of an Olympic Truce, an Olympic 2020 Moratorium on Executions, in the year of the Olympics games as a first step to revise the Penal Code and towards abolition. I launch again from here, solemnly, the call for an Olympic Moratorium in Japan. In a country in which you can be interrogated for 23 days in a row before being charged and where the majority of cases ends with a confession, any citizen of the world that will go to Japan next year may be at risk if by chance founds himself in the middle of unpredictable violence.
The case of Iwao Hakamada, who attended our conference in Tokyo and the Mass with Pope Francis, with his sister Hideko, is a stone that cannot be removed. 48 years on death row, after a confession signed after 10 days of interrogation 12 hours a day and no sleep. And 48 years asking the revision of the trial and claiming innocence because there was no evidence of even his presence on the crime scene, till being put out of death row in 2014.
60 per cent of the DNA cases reversed by the Innocence Project in the US were based on confessions and eye witnesses, all cases where each of us would say that there was no doubt about the real perpetrator.
In the US since 1976, when the death penalty was reinstated, 1499 have been executed. Over the same period of time 166 have been exonerated. At least 1 out of 20 death sentences in the US has proven to be wrong and there are serious reason to think that 1 out of 10 death row inmates is innocent of the crime for which is put to death.
The only way to avoid this errors and horror is no more death penalty, since mistakes are always irreversible.  And the state becomes a killer, lowering each of us to the level of the killer. No justice system is perfect nor can be, since we, human beings are not perfect. This is why the only way to defend our justice systems is to liberate them from the death penalty and from the chance to inflict irreversible penalties.
The death penalty is a simplified military solution of an entire society against an individual and gives no answer to the real problems of security and to the social problems  that go along with crimes, in any society.

My mind turns to the 35,000 deaths by suicide or homicide caused by firearms that occur on average every year in the United States, where there are 270 million personal weapons, more than one for every inhabitant
Does the death penalty help societies to be safer or does it really tackles the most heinous crimes? I have no evidence of this, not one case in the world that can be used irrefutably to demonstrate that the death penalty is a deterrent.
I want to conclude.

EU is a no-death penalty continent. How could it happen that Europe could give up, country by country, to state killing? Because it was disgusted by death. Many Japanese friends told me: maybe the abolition of death penalty in Europe can be related to a society that is more tolerant towards errors, a society that is softer. I just want to remind that in Europe we had centuries of war. The thirty years war, the hundred years war, two world wars, even religious wars between Christians, where the adversaries were killed, sentenced to death, burned alive. I want to remind that the beginning of democracy in France, the French Revolution, the Regime of Terror made the guillotine an altar. Europe wasn’t, isn’t softer on crime. But it learned from its mistakes. And the only answer to death is “enough with death”.

There is constant decrease in the US started 20 years ago. 7 states that abolished the death penalty over the last years in the US. Executions dropped from 98 to  20 executions carried out in 11 months in the US this year and 3 still pending. 25 were carried out a year ago. They are now one fourth of 20 years ago. In a country in which 29 states where the death penalty is legal, only one out of four has carried out executions: 7 states.

Death is never a good currency. It makes life bitter. Intentional killing of someone is always wrong, especially by the state. The guilty one’s death only adds another death to those that have already occurred. It creates new victims: the sentenced to death person’s innocent relatives, fare orever ashamed and deprived of their loved one’s affection. And what is worse is that this injustice that creates new victims is made by the state, against innocents. The sons become orphans, yes, due to the hand of the State.

They say, some ruling classes say: but the people demand it. The five-year survey in Japan says that, even if the questions are badly written. But were they even written better, democracy is not, is never about surveys. That is a caricatural democracy, a democracy “en travesti”, moody, instinctive, childish. If there was a survey in Italy or in Europe about abolishing taxes or guaranteeing an additional salary for everyone, probably it is not impossible that the 70, 80% would be favourable. But our societies, Italy would die. Public opinion can wave, especially in our times.
The best answer is to interrupt the cycle of violence.  It weakens a culture of death. It can help the new generation to breathe a culture of life and less violence.
The entire issue is in one question, the question of a 10 years old: “They will kill him because he killed a man. Then, after they killed him, who shall we have to kill?
The answer of an enlightened leadership, that has the courage to lead its people, and not to follow polls, can lies in this: we will never be like the killers: “never like them”. Never death, Always life. It is in your hands, in our hands. You, we, together can make history.

(Address at the 12° International Meeting of Justice Ministers “Paving the Way: Defeating Hatred. A World Without the Death Penalty”, November 29, 2019, Rome, Italy).

Sudan. Piccoli passi verso la libertà e la democrazia

Il Sudan cambia, o almeno di facciata sembra lo stia facendo. E’ infatti giudicata “storica” la decisione per i diritti delle donne in Sudan: l’autorità di transizione, che questa mattina ha sancito lo scioglimento del partito dell’ex presidente Bashir, ha anche abrogato una serie di leggi, tra cui quella che prevedeva arresti e frustate per le donne sorprese a partecipare a feste private o a indossare i pantaloni.

sud2.jpgLa norma era una controversa legge sull’ordine pubblico che tuttavia aveva colpito in particolare le donne proponendo una interpretazione particolarmente severa della legge islamica della Sharia. La sua abolizione era una delle richieste principali avanzate al primo ministro in carica Abdalla Hamdok dal movimento di proteste. “Le leggi sull’ordine pubblico e la morale pubblica erano uno strumento di sfruttamento, umiliazione – ha twittato Hamdok – e violazione dei diritti dei cittadini e una violazione della dignità del popolo. Mando un omaggio ai giovani uomini e donne del mio Paese che hanno sopportato gli orrori dell’applicazione di queste leggi”.

Il 25 novembre il Sudan ha tenuto la sua prima marcia in decenni per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. E molte donne sono state in prima linea nel movimento che ha rovesciato il regime trentennale di Bashir.

in Avvenire, 29 novembre 2019

IRAQ BLACK FRIDAY

ISPI

Venerdì nero per l’Iraq. Il governo di Adel Abdul-Mahdi annuncia le dimissioni nel giorno dei funerali delle vittime di Nassiriya. I morti, nelle proteste antigovernative da inizio ottobre, sono più di 400. Nelle piazze, va in scena la rabbia degli iracheni – sciiti e sunniti – traditi da un sistema corrotto che spara ad alzo zero sui civili.

L’annuncio delle dimissioni del premier iracheno  Adel Abdul-Mahdi arriva all’indomani dell’uccisione di 44 manifestanti a Nassiriya, nel sud dell’Iraq. È il bilancio peggiore dall’inizio delle manifestazioni che, in appena sette settimane, hanno provocato oltre 400 morti e 15.000 feriti. Decisivo, è stato l’intervento del Grande Ayatollah Ali Al Sistani, massima autorità sciita del paese, che aveva invitato il parlamento a togliere la fiducia all’esecutivo. “Sottoporrò al Parlamento una lettera formale con le mie dimissioni”, ha fatto sapere con una nota il premier.

iraq black friday.JPGPoco prima, anche il governatore della regione di Dhi Qar, di cui Nassiriya è capoluogo, si era dimesso affermando che “lo spargimento di sangue è stato causato da forze venute da fuori” e “senza che il governo centrale informasse le autorità locali”. Mai, negli ultimi anni, si era assistito a proteste così estese e dagli esiti così cruenti. All’inizio i manifestanti denunciavano la corruzione dilagante, il carovita e l’assenza di servizi essenziali. Oggi chiedono la fine delle interferenze straniere nel paese e la riforma di un intero sistema politico che, a 16 anni di distanza dall’invasione americana e dalla fine del regime di Saddam Hussein, ha tradito le aspettative degli Iracheni.

PER SAPERNE DI PIU’ VEDI:

http://www.infoispionline.it del 29 novembre 2019

 

Razzismo. Il breve tragitto dal linguaggio ai comportamenti

Fabio Geda, intervistato da Ottavia Giustetti

«Mi dispiace che si possa dire di Torino che è una città razzista. Storicamente, fin dagli anni Settanta la mia città è stata tra quelle più sensibili al tema dell’accoglienza. Purtroppo, però, delle ragioni le riconosco, e stanno nel nostro Paese. Sono nella violenza delle parole pronunciate da una certa politica, nella mancanza di strumenti di tutte quelle persone che ne rimangono conquistate». Fabio Geda, scrittore torinese, autore del bestseller Nel mare ci sono i coccodrilli , ha portato nei suoi libri le storie dei giovani migranti che ha incontrato come educatore dei servizi sociali. Il suo ultimo libro è Una domenica . Storie dure, di lotta per la vita. Approdi al nostro Paese come luogo dove poter costruire un futuro. Ma cosa succede quando il futuro diventa p360.jpgresente?

Eniola Aluko ha detto che se ne va da Torino perché è stanca di essere trattata come una ladra nei negozi. Cosa ne pensa?

«È una pessima notizia che però non mi sorprende. Basta ascoltare i messaggi che passano abitualmente dalle parole dei politici italiani per comprendere che non c’è nulla di strano se questo Paese assiste impotente alla crescita costante del sentimento razzista tra la sua popolazione».

Parla dei politici della Lega?

«Della Lega, certamente. Ma non soltanto. Anche di tutto quel centrosinistra che dovrebbe vigilare e diffondere una cultura dell’accoglienza. E invece si preoccupa soltanto del momento in cui dovrà contare i voti e preferisce rimanere ambiguo sul tema dei migranti».

La violenza delle parole razziste è uno dei temi più sentiti da questo nuovo movimento che sta crescendo in tutta Italia, delle “sardine”.

«Mi piace moltissimo, e all’appuntamento di Torino parteciperò. Mi piace perché ci invita a riunirci e a discutere tutti insieme di un mondo che può essere migliore, senza cortili da difendere ma con territori da governare tutti insieme. Mi piace perché vuole restituire forza e importanza alle parole e io sono convinto che in questo mondo fatto di immagini, siano ancora le parole a cambiare la testa delle persone».

Come dice Enola Aluko, siamo vent’anni indietro?

«Siamo tornati indietro, non eravamo così. Ora non resta che mettersi al lavoro per rivoluzionare questo immaginario nutrito dai discorsi d’odio. C’è molto da fare con le parole e gli sguardi. È una battaglia epocale che va ben oltre lei. Riguarda tutti noi, dal primo all’ultimo».

in “la Repubblica” del 30 novembre 2019

Educare ed educarsi ai diversi futuri possibili

Il futuro dei futuri

I grandi cambiamenti in corso e in arrivo suggeriscono di vedere la situazione attuale come un esperimento, che potrà portare a nuovi risultati se correttamente gestito, ma potrà anche fallire, come in realtà la maggior parte degli esperimenti, se non si trova la giusta chiave di intervento.

A ben vedere, il punto non riguarda tanto i cambiamenti, quanto la loro accelerazione. Non cSmart-Cities-2.jpg’è mai stata un’epoca senza cambiamenti. Ciò che distingue l’epoca contemporanea è la costante accelerazione dei cambiamenti, accelerazione che negli anni ’70 del secolo scorso ha fatto emergere la differenza fra sottosistemi sociali capaci di ulteriormente accelerare (finanza, scienza e tecnologia) e sottosistemi sociali in apnea, incapaci di accelerare ulteriormente (politica, educazione, diritto). La domanda da sollevare è se questa differenza sia da leggere come frattura o come metamorfosi. Se fosse una frattura, prima o poi si potrebbe ricomporre; se invece si trattasse di una metamorfosi, questo suggerirebbe l’idea che stiamo assistendo all’albeggiare di una nuova configurazione sociale.

La costante accelerazione dei cambiamenti genera sempre più elevati livelli di incertezza, la sempre maggiore difficoltà a capire il contesto e ciò che dovrebbe essere fatto. Le informazioni accumulate dal passato non sono più sufficienti per indicare le decisioni da prendere. Dobbiamo ampliare la base informativa che supporta i processi decisionali. Ma dove possiamo reperire queste ulteriori informazioni? Qui è dove intervengono gli Studi di Futuro: oltre alle informazioni ‘dal passato’, le altre informazioni che servono per orientare le decisioni possono provenire solo ‘dal futuro’. Gli esercizi di futuro e i metodi sviluppati dai futuristi servono precisamente per visualizzare i modi in cui le situazioni possono cambiare e con ciò aiutano organizzazioni e comunità a sviluppare strategie più flessibili e adeguate, maggiormente capaci di intercettare i cambiamenti.

Tutto questo si riassume nella proposta di una diffusa alfabetizzazione al futuro. Nello stesso modo in cui l’alfabetizzazione di massa è stato un fondamentale strumento di libertà per intere popolazioni, coerente con le caratteristiche e le esigenze della prima modernizzazione, il progressivo sviluppo dell’accelerazione e l’aumento dei livelli di incertezza sollevano la domanda di una forma di alfabetizzazione adeguata alle caratteristiche del 21° secolo. Come per la precedente alfabetizzazione, che ovviamente rimane indispensabile, la nuova alfabetizzazione al futuro promette di essere anch’essa uno strumento di libertà se condivisa e fatta propria da intere popolazioni.

PER SAPERNE DI PIU’ VEDI:

CNEL: Il Futuro delle organizzazioni. Lavoro e creatività: http://www.cnel.it/Portals/0/CNEL/Rapporti_Relazioni_Documenti_per_sito/report_futuro_organizzazioni_2019_maggio.pdf?ver=2019-09-10-110444-130

Migrazione africana in Italia

MAURIZIO AMBROSINI

Una delle ragioni principali dell’interesse per l’Africa negli ultimi anni è la questione migratoria. Africa, migranti, sbarchi sulle coste hanno formato in tempi recenti un trinomio che non solo ha attratto grande attenzione, ma si è trasformato in una rappresentazione distorta e ansiogena dei fenomeni migratori. Molti italiani sono convinti che l’immigrazione diretta verso l’Italia, o almeno quella attuale, arrivi in gran parte dall’Africa, e che sia cresciuta drammaticamente fino alla (pretesa) chiusura dei porti. Pronta a ripartire immediatamente se le autorità governative abbassassero la guardia.

Il recente Dossier immigrazione IDOS 2019jpg.jpgribadisce invece anzitutto che l’immigrazione straniera in Italia è cresciuta pochissimo negli ultimi cinque anni, meno del 7% in tutto, ossia poco più dell’1% all’anno. Crisi e poi stagnazione economica hanno da anni allontanato il grosso dei flussi migratori dall’Italia, incidendo anche su ricongiungimenti familiari e nuove nascite da genitori stranieri. Persino il sospirato accesso alla cittadinanza italiana serve a migliaia di ex stranieri per compiere una seconda emigrazione verso Paesi che offrono prospettive più promettenti: 25.000 circa tra il 2012 e il 2016, ma la cifra è approssimata per difetto.

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