Scuola. Bozze Linee programmatiche del Ministro Istruzione, Università, Ricerca

In attesa dell’edizione definitiva, presentiamo le bozze dell’intervento del Ministro dell’Istruzione, Università, Ricerca, Marco Bussetti, alle VII Commissioni permanenti di Camera e Senato, in riunione congiunta dell’11 luglio 2018. 

Signori Presidenti, onorevoli senatori e deputati, vi ringrazio sentitamente per l’opportunità che mi date, con il vostro invito, di delineare quelle che saranno le linee programmatiche che informeranno la mia azione di governo come Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

La crescita sociale, culturale ed economica, in altre parole, il futuro di una nazione, passano proprio attraverso il riconoscimento dell’intrinseco valore del sistema di istruzione, di educazione e di ricerca. Questi i motivi per i quali avverto chiaramente la grande responsabilità dell’essere a capo di quella che considero tra le più importanti istituzioni del nostro Paese: il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

La carica che ricopro in questa legislatura sarà da me onorata con impegno, dedizione e passione. Mi propongo, durante il mio mandato, di ascoltare tutte le componenti del mondo della scuola, dell’università e della ricerca per migliorare il sistema educativo del Paese, ponendomi obiettivi a medio e lungo termine realmente perseguibili.

La società liquida nella quale viviamo, fatta di conoscenza spesso frammentata, ha progressivamente trasformato la visione collettiva della scuola, assimilandola a un servizio percepito dalle famiglie, a volte scontato.

Non dobbiamo dimenticare che la scuola, come diceva Piero Calamandrei, è un organo centrale della democrazia e la democrazia deve permettere ad ogni uomo la sua parte centrale di sole e dignità. La rottura del patto formativo scuola – famiglia ha fatto sì che, purtroppo, nell’immaginario collettivo, il docente non rivestisse il ruolo di educatore posto alla base del rapporto di crescita e sviluppo degli allievi. Depauperati di questo ruolo, i docenti sono stati (ne parlano le cronache recenti) oggetto di manifestazioni violente, estremizzate a volte da inspiegabili quanti inutili prevaricazioni.

Insieme ai docenti, la scuola tutta risente del clima generale di impoverimento culturale. Ecco perché esigo, anzi pretendo, che gli studenti e le loro famiglie abbiano nei confronti dell’istituzione scolastica e di tutte le sue componenti un atteggiamento di rispetto.

Ho già dichiarato – e voglio ribadirlo in questa sede – che è mia ferma intenzione verificare e valutare, con gli organi preposti, la possibilità che il Ministero si costituisca parte civile nei procedimenti penali che abbiano ad oggetto episodi di violenza o anche di semplice minaccia, posti in essere da studenti o dai loro genitori e parenti, nei confronti dei docenti, dei dirigenti o del personale ausiliario.

L’esperienza lavorativa pregressa in qualità di dirigente nell’ambito territoriale di Milano mi ha consentito di conoscere dall’interno i meccanismi di funzionamento del sistema scolastico e formativo, gli aspetti positivi che lo caratterizzano ma anche le molte criticità su cui siamo chiamati ad operare.

La buona qualità dell’insegnamento e l’accessibilità al sapere, oltre a strutture scolastiche e universitarie sicure e tecnologicamente adeguate alle esigenze educative dei nostri studenti, rappresentano condizioni indispensabili – oserei dire prerequisiti – per la corretta istruzione, formazione e orientamento di tutti i nostri ragazzi e delle nostre ragazze, sia al mondo del lavoro sia a quello universitario, in un contesto nazionale ed internazionale.

È importante intervenire senza indugio sulle strutture scolastiche e sulle infrastrutture tecnologiche e di laboratorio. Il nostro Paese, purtroppo, per le sue caratteristiche morfologiche è particolarmente soggetto ad eventi sismici, che hanno segnato con violenza il nostro recente passato e la vita di troppi studenti. È mia ferma intenzione agire facendo ricorso a tutte le forme di finanziamento nazionali e comunitarie cui potremo accedere, certificando e mettendo in sicurezza gli istituti scolastici con un piano pluriennale di investimenti. I nostri ragazzi e i loro genitori, ma anche tutto il personale che opera nelle scuole, devono sentirsi al sicuro e tutelati dentro i nostri edifici scolastici.

Gli interventi dovranno riguardare anche l’ammodernamento e la ristrutturazione, con particolare attenzione all’accessibilità degli istituti scolastici, principalmente quelli del Sud, che ancora oggi non offrono un luogo adeguato dove poter esercitare il diritto fondamentale allo studio. Studiare in un ambiente bello, sano e sicuro è la condizione necessaria per imparare a prendersi cura del bene pubblico, a rispettarlo e proteggerlo, e ci permetterà di crescere cittadini responsabili e consapevoli.

Bisognerà, inoltre, intervenire sulle dotazioni tecnologiche e digitali, consentendo ai nostri studenti di comprendere e di saper governare appieno le potenzialità delle tecnologie in un mondo in continua e costante evoluzione. I giovani del XXI secolo dovranno affrontare, durante il loro percorso educativo, dalle scuole primarie all’università, almeno tre o quattro rivoluzioni che modificheranno il paradigma conosciuto, non solo dell’apprendimento e del sapere, ma anche del mondo del lavoro.

I nostri ragazzi dovranno imparare, e imparare in modo continuativo, anche da adulti, secondo i paradigmi europei, poiché ciò che hanno appreso ieri, oggi è già obsoleto. Sarà necessario, inoltre, che si confrontino non solo con i propri coetanei locali o nazionali, ma anche a livello europeo e mondiale.

Il nostro compito sarà quello di fornire loro strumenti, sin dalle scuole dell’infanzia, che permetteranno di interiorizzare il concetto che continuare a imparare significa imparare a vivere pienamente e con più libertà e autonomia, ma anche con più consapevolezza e responsabilità. Sviluppare percorsi di cittadinanza attiva fin dalla scuola di primo ciclo è uno degli obiettivi che le scuole dovranno conseguire nei prossimi anni anche in sinergia con le associazioni di magistrati, con i tribunali e con le realtà territoriali.

Una particolare attenzione sarà posta sulle piccole scuole nelle isole, nei luoghi montani e nelle zone disagiate. La tecnologia, in questo senso, può offrire soluzioni di valido ausilio anche per i nostri studenti che, per patologie diverse, non possono frequentare regolarmente le lezioni perché degenti in ospedali o in altre strutture.

Una scuola che promuova la piena realizzazione delle proprie potenzialità deve essere una scuola inclusiva, che permetta a ogni studente e a ogni studentessa di arricchirsi attraverso il confronto con l’altro. Credo fermamente che i diritti degli studenti diversamente abili o con bisogni educativi speciali debbano essere totalmente garantiti. Sarà mia cura dare piena attuazione al decreto legislativo n. 66 del 2017, che intende promuovere la partecipazione della famiglia, nonché delle associazioni di riferimento, quali interlocutori dei processi di inclusione sia scolastica che sociale.

Le prestazioni e i servizi necessari per raggiungere la piena inclusione scolastica sono assicurati dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali, che, attraverso l’amministrazione scolastica, provvedono all’assegnazione dell’organico necessario, e da un contributo economico a ogni scuola, sulla base del numero degli studenti disabili della singola istituzione.

Miglioreremo la formazione iniziale dei docenti di sostegno, per favorirne la massima professionalità e, per far sì che questi non restino solo buoni propositi, il Ministero definirà degli indicatori per misurare la qualità dei processi di inclusione in ogni scuola.

Una scuola inclusiva è, inoltre, una scuola in grado di limitare la dispersione scolastica, che in alcune Regioni raggiunge percentuali non più accettabili. Tutti gli studenti devono essere incentivati, nelle forme più opportune, a proseguire gli studi, fino all’ottenimento di un titolo di scuola secondaria di secondo grado, nel rispetto del principio di uguaglianza di tutti i cittadini. Per tale motivo, tra i miei primi atti da Ministro c’è stato quello di riunire presso il Dicastero i componenti dell’Osservatorio permanente per l’inclusione.

La scuola deve essere aperta a tutti, garantire le migliori opportunità possibili, parlare tutti i linguaggi scientifici, tecnologici, multimediali che il mondo globalizzato ci richiede.

Il mio impegno sarà rivolto all’abbattimento delle barriere, di qualunque natura esse siano, affinché tutti gli studenti, specialmente quelli diversamente abili, con disagi socio-economici o con bisogni educativi speciali, in altre parole, con tutte le diverse intelligenze e gli svariati talenti che i nostri ragazzi possiedono, possano conquistare la loro libertà di cittadini e di lavoratori, per vivere i propri impegni personali e sociali.

È mia intenzione convocare l’Osservatorio entro la fine di luglio, per avviare un confronto con tutte le componenti interessate. Al proposito abbiamo siglato l’intesa con le organizzazioni sindacali lo scorso 28 giugno, sulle utilizzazioni e le assegnazioni provvisorie del personale della scuola, con la quale è stata posta particolare attenzione ai diritti degli alunni con disabilità. Le assegnazioni sui posti di sostegno saranno date prioritariamente, come di consueto, agli insegnanti specializzati, ma l’assegnazione potrà, poi, essere richiesta anche da chi sta per concludere il percorso di specializzazione sul sostegno o, in subordine, da chi ha prestato servizio per almeno un anno scolastico su posti di sostegno.

La scuola è lo strumento più potente per cambiare il mondo. Durante il mio mandato profonderò le mie energie per ridurre sensibilmente la dispersione scolastica, affinché tutti gli studenti, nel pieno rispetto del principio di uguaglianza formale e sostanziale, sancito dalla nostra Carta costituzionale, possano accedere a qualsiasi forma di istruzione, in ogni ordine e grado.

Per questo motivo, il docente è uno dei cardini portanti del sistema di istruzione e formazione della nostra scuola. Un ruolo centrale dovrà, quindi, essere svolto dalla formazione permanente dei docenti. In un mondo in cui le tecnologie e i saperi scientifici, la cultura e la società cambiano con tale velocità, non possiamo immaginare che il corpo docente non si adegui al cambiamento tramite un percorso permanente e strutturato di formazione. L’uso delle tecnologie, la padronanza delle lingue straniere, la capacità di utilizzare modalità di comunicazione e di insegnamento innovative dovranno far parte del bagaglio professionale di ogni docente. L’aggiornamento continuo e la valorizzazione professionale del corpo docente diviene pilastro fondante su cui costruire un sistema educativo moderno, al passo coi tempi, aperto alle sfide globali.

Ritengo necessario pensare a una revisione del sistema di reclutamento dei docenti, per garantire, da un lato, il superamento delle criticità e, dall’altro, un efficace sistema di formazione. Occorrerà riflettere su nuovi strumenti che tengano conto del legame dei docenti con il loro territorio, affrontando all’origine il problema dei trasferimenti, ormai a livelli non ulteriormente accettabili, che non consentono un’adeguata continuità didattica a detrimento della formazione dei nostri ragazzi.

Durante il mio mandato intendo valorizzare il ruolo del personale amministrativo tecnico e ausiliario (ATA), che rappresenta una parte importante del nostro sistema scolastico, da cui spesso dipende il buono o cattivo funzionamento di una scuola. Tale personale si occupa di accogliere gli studenti a scuola, è di ausilio al corpo docente e al dirigente, è l’anima amministrativa del nostro sistema scolastico. Insomma, ricopre un ruolo fondamentale, che merita di essere conosciuto e potenziato.

Dovrò occuparmi, da una parte, del reclutamento, questione ormai non più differibile, dei direttori dei servizi generali e amministrativi, preziosi per la corretta gestione amministrativa e, dall’altra, della formazione in servizio del personale di segreteria, che deve poter gestire la complessa progettazione delle scuole, anche in tema di PON, Erasmus, privacy, monitoraggi, e via dicendo.

Non posso non ricordare, poi, il lavoro silenzioso e quotidiano di quei funzionari di ogni ambito territoriale d’Italia, sempre meno numerosi e sempre più oberati di lavoro, che ogni giorno permettono alle nostre scuole di funzionare. Dietro il primo giorno di scuola di un docente, di uno studente, di un genitore o di un dirigente scolastico c’è la fatica di donne e uomini invisibili al sistema, ma preziosi per tutte le scuole di ogni ordine e grado.

In questi ultimi anni, sia la scuola sia l’università sono state oggetto di numerose radicali riforme le quali, oltre a non essersi sempre rivelate, per così dire, illuminate, si sono susseguite a un ritmo tale che la nuova si presentava quando la precedente ancora non era stata completamente realizzata, creando un senso di confusione e spaesamento in tutti gli operatori. L’obiettivo che mi prefiggo è quello di ricreare un clima di serenità e di fiducia, senza ricorrere a nuove riforme e a ulteriori strappi.

D’altra parte, se non vi è l’intenzione di stravolgere la riforma della buona scuola, come ha anche assicurato il Presidente del Consiglio, reputo che i nodi emersi in questi anni di applicazione vadano affrontati e sciolti completamente, in modo condiviso. Quello che propongo è un riallineamento complessivo, che ottimizzi un impianto normativo, ormai operativo da qualche anno.

Dopo poche settimane dal mio insediamento, come Ministro, sono subito intervenuto su uno dei punti maggiormente critici della legge n. 107 del 2015, l’istituto della chiamata diretta dei docenti. Con l’accordo sindacale che abbiamo siglato il 26 giugno scorso già dal prossimo anno scolastico tale istituto è stato superato; anche in questo caso è stata data attuazione a una precisa previsione del contratto per il Governo del cambiamento, sostituendo la chiamata diretta, connotata da eccessiva discrezionalità e da profili di inadeguatezza, con criteri trasparenti e obiettivi di mobilità e assegnazione dei docenti dagli ambiti territoriali agli istituti scolastici.

Un altro tema al quale ho dedicato immediatamente attenzione è la questione dei diplomati magistrali e, in generale, il problema del precariato nella scuola dell’infanzia e nella primaria. Dico subito con chiarezza che, da uomo delle istituzioni, ritengo che le sentenze pronunciate in nome del popolo italiano vadano rispettate senza eccezioni. È, però, altrettanto vero che l’eccessiva precarizzazione e la continua frustrazione delle aspettative dei nostri insegnanti e le correlate sfavorevoli conseguenze sul processo di apprendimento dei nostri studenti rappresentano temi delicati, che meritano di essere affrontati per un reale rilancio della nostra scuola.

Con riferimento, più in particolare, alla problematica dei diplomati magistrali, ho chiesto da subito ai miei uffici di individuare una soluzione legislativa che fosse in grado di contemperare gli interessi di tutti i soggetti coinvolti, ma soprattutto di assicurare un ordinato avvio del prossimo anno scolastico e la salvaguardia della continuità didattica.

Dobbiamo sempre ricordarci che la formazione è un servizio che ha come destinatari degli utenti, i nostri ragazzi, che debbono essere in ogni modo salvaguardati nel loro interesse superiore a fruire di una formazione continua e, quindi, non soggetta ad alterni mutamenti di docenti in corso d’anno.

Strettamente collegata a questa tematica, vi è quella delle numerose reggenze dei dirigenti scolastici. Il nuovo concorso, che si svolgerà nelle prossime settimane, oltre a essere un’occasione di sviluppo di carriera per i docenti interessati a svolgere un nuovo ruolo, permetterà di riportare alla normalità i carichi di lavoro di quelli già in servizio. Ben 1.700 dirigenti sono reggenti di una o più scuole, tutto a detrimento della qualità della gestione dei singoli istituti, la cui organizzazione diviene tutti i giorni più complessa. Un pensiero va dunque ai dirigenti scolastici, che quotidianamente lavorano nelle scuole per garantire un servizio importante per tutto il Paese.

I processi culturali di apprendimento che caratterizzano la società odierna, definita anche società della conoscenza, sono in continua e rapida evoluzione e caratterizzano l’intera vita di ognuno di noi.

Le conoscenze, le capacità, l’immaginazione e la possibilità di fare rete pesano spesso più dei capitali fisici, tecnologici e finanziari tradizionalmente alla base degli scenari economici e organizzativi.

Centrale diviene, dunque, il ruolo dell’individuo come risorsa, in cui l’identità professionale richiama non solo abilità di ordine tecnico, ma anche un capitale umano da costruire e ricostruire lungo tutto l’arco dell’esistenza.

Se questo è il nuovo scenario socio-economico e culturale in cui ci troviamo a operare, se il mondo del lavoro richiede sempre più conoscenze che esulano dagli schemi tradizionali e se le istituzioni formative (prima di tutto la scuola e le università) non si adeguano nell’organizzare nuove modalità di trasmissione dei saperi, i nostri giovani corrono il rischio di essere posti ai margini delle nuove infrastrutture di produzione della conoscenza. È necessario, quindi, oggi più che mai, che anche i nostri studenti mantengano il passo con le evoluzioni culturali, scientifiche e tecnologiche che si presentano per conseguire un processo formativo ed educativo che funzioni da scatola degli attrezzi con cui costruirsi e reinventarsi il proprio futuro, lavorativo e non solo.

La «Buona scuola» ha ampliato in maniera considerevole le ore obbligatorie di alternanza tra scuola e lavoro; tuttavia quello che avrebbe dovuto rappresentare un efficace strumento di formazione dello studente è stato interpretato come un obbligo e un dovere e non come un’opportunità da cogliere, sia per gli studenti che per le strutture che si sono proposte di accoglierli presso di loro. Sono fermamente convinto che i termini scuola e lavoro debbano essere intesi non in maniera antitetica, ma come sintesi naturale. Trovo normale che durante un percorso di studi, oltre al trasferimento di conoscenze e strumenti per interpretare il mondo in cui viviamo, si tenti di orientare gli studenti verso un lavoro, qualunque esso sia. In questo senso, l’istituto dell’alternanza tra scuola e lavoro non è un esperimento che deve essere archiviato. Certo, esso necessita di quegli aggiustamenti cui accennavo prima e di cui i miei uffici già si stanno occupando. Trovo, in senso assoluto, molto importante e formativo che gli studenti, tramite l’alternanza tra scuola e lavoro, possano iniziare a misurarsi con il mondo del lavoro con cui prima o poi dovranno entrare in contatto.

Certo, il Ministero non può tollerare percorsi che non siano di assoluta qualità, rispondenti a standard di sicurezza elevati e, soprattutto, che non siano affatto coerenti con il percorso di apprendimento dello studente interessato. Su questi aspetti stiamo già lavorando per apportare le opportune correzioni al fine di liberare le piene potenzialità di uno strumento in cui – ripeto – credo molto.

Sarà altresì importante garantire ai nostri studenti una sana e corretta educazione motoria. L’educazione sui corretti stili di vita permetterà di lavorare su più piani e l’educazione motoria agevolerà anche la crescita armonica dei nostri ragazzi. Pertanto, oltre all’inserimento fin dalla scuola primaria di laureati in scienze motorie e sportive, è mia intenzione ridefinire e organizzare l’attività sportiva scolastica.

Da ultimo, voglio segnalare che intendo creare le migliori condizioni affinché le nostre ragazze e i nostri ragazzi impegnati in attività agonistiche – i cosiddetti studenti atleti – possano contemperare l’esigenza di svolgere attività sportiva con il proseguimento e il completamento del percorso scolastico secondario. Va sempre ricordato come la carriera di un atleta professionista sia molto breve e che, quindi, vada supportata per il conseguimento di un titolo di studio e di una formazione utile all’inserimento nel mondo del lavoro.

A quest’ultimo proposito, ho chiesto ai miei uffici di aggiornare la sperimentazione formativa relativa agli studenti atleti, prevedendo che alla stessa possa accedere il maggior numero possibile di ragazzi già nei primi anni della scuola secondaria.

Da uomo di scuola auspico che un numero sempre maggiore di studenti, dopo gli istituti superiori, possa accedere alla formazione universitaria o all’alta formazione artistica, musicale e coreutica. Durante il mio mandato farò in modo di ampliare la platea di studenti beneficiari dell’esenzione totale dal pagamento delle tasse di iscrizione, rendendo più agevole poter accedere alla no tax area. Inoltre, verificherò la possibilità di stabilizzare il Fondo integrativo statale per la concessione, da parte delle Regioni, di borse di studio per gli studenti meritevoli, ma privi di mezzi. Mi auguro che si possano poi semplificare le procedure amministrative necessarie all’erogazione delle borse di studio. Approfondirò la revisione del sistema di accesso ai corsi a numero programmato, attraverso l’adozione di un modello che assicuri procedure idonee a orientare gli studenti verso le loro effettive attitudini.

Per promuovere lo sviluppo è necessario investire in attività di ricerca, affinché diventi motore dell’innovazione. La complessità delle nuove scienze, nuovi paradigmi di un mondo globalizzato, ha connotato la ricerca di nuove sfumature. La ricerca si svolge infatti in più luoghi contemporaneamente e richiede l’intervento intrinseco di più discipline e professionalità, a prima vista distanti tra loro (medici, biologi, ingegneri, chimici, fisici, sociologi, matematici, esperti di meccanica e robotica). Quindi, diventa fondamentale superare gli spazi fisici. L’attività scientifica è, per sua intrinseca natura, transnazionale. La ricerca teorica si effettua in Australia, Argentina e Singapore e altro, il tutto svolto da ricercatori americani, indiani e italiani. La vera globalizzazione, con un’eccezione prettamente positiva, intesa come condivisione di saperi e informazioni, la si sta vivendo proprio nel campo della scienza e dell’innovazione. I nostri ricercatori, con le loro pubblicazioni scientifiche, risultano tra i migliori al mondo, sempre presenti nei primi posti delle classifiche mondiali impact factor (mi riferisco all’indice che viene utilizzato per valutare la qualità della produzione scientifica di un ricercatore).

Tutto questo accade pure in presenza di un ridotto livello di finanziamento dell’attività di ricerca sia in senso assoluto, sia in relazione a quanto investono gli altri Paesi, europei e non. La Germania impegna in ricerca e sviluppo quasi il 3 per cento del proprio PIL, a fronte di una media europea poco superiore al 2 per cento. In Italia il dato si attesta, invece, a poco meno dell’1,3 per cento.

Se quanto sinora rappresentato è condivisibile, appare quindi prioritario e non più eludibile incrementare le risorse destinate alle università e gli enti di ricerca, agendo sui rispettivi fondi di finanziamento, nonché ridefinire i criteri di finanziamento delle stesse. Il sistema universitario e il mondo della ricerca dovranno essere maggiormente coinvolti nello sviluppo culturale, scientifico, tecnologico e industriale nazionale, contribuendo a indicare gli obiettivi da raggiungere, interagendo maggiormente con tutto il mondo delle imprese e del lavoro.

È appena il caso di accennare a quanto la ricerca svolga un ruolo trainante anche per l’occupazione, ad esempio puntando molto e in maniera decisa sul processo di trasferimento tecnologico e sulla capacità di generare invenzioni e registrare brevetti che, purtroppo, poco sovente vengono convertiti in prodotti e servizi innovativi a valore aggiunto. Albert Einstein ha detto che la scienza è una cosa meravigliosa per chi non deve guadagnarsi da vivere con essa. È trascorso un secolo e dobbiamo migliorare. I nostri dottorati industriali e innovativi devono avere maggiori azioni di supporto, ad esempio con l’utilizzo di fondi di coesione dell’Unione europea.

Ritengo sia ormai giunto il momento di elaborare un piano strategico pluriennale per l’università e la ricerca che affronti in maniera unitaria le diverse criticità che caratterizzano il settore dell’alta formazione e della ricerca, in primis affinché il mondo universitario italiano possa essere in grado di affrontare le sfide che lo attendono. Occorrerà riflettere su come si può migliorare il sistema di reclutamento in termini meritocratici, di trasparenza e in modo corrispondente alle reali esigenze scientifico- didattiche degli atenei, garantendo al contempo l’effettivo accesso alla docenza.

Purtroppo, il corpo docente italiano è composto da professori di prima e seconda fascia e da ricercatori che hanno un’età media tra le più alte d’Europa, oltre a essere circa un terzo di quelli tedeschi e meno della metà di quelli inglesi e francesi. Anche il numero di dottorandi italiani è un terzo di quello dei dottorandi tedeschi e si sta ulteriormente riducendo a un ritmo medio del 2,5 per cento annuo (dal 2008 circa il 25 per cento in meno). La realtà è che oggi la carriera universitaria non è più particolarmente attraente. Gli stipendi non sono competitivi rispetto a quelli di molti altri Paesi in cui giovani ricercatori godono di condizioni economiche più favorevoli e di migliori opportunità di sviluppo e carriera.

Ancora peggiore è la situazione dei giovani dottori di ricerca che scelgono direttamente il PhD all’estero, o, una volta acquisito il titolo in Italia, cercano fortuna al di fuori dei confini nazionali e spesso la trovano. Vi dico, però, che non ho timore della fuga di cervelli. La ricerca, per sua stessa natura, oltre che multidisciplinare e interdisciplinare, è soprattutto internazionale: parla tutte le lingue del mondo e si contamina osmoticamente. È assolutamente fisiologico che un nostro dottorando o ricercatore – junior o senior che sia – senta l’esigenza di affrontare un periodo di studio o di lavoro all’estero e troverei incomprensibile il contrario. La questione allora non è tanto la partenza, semmai il mancato ritorno: questa sì è una criticità, che conduce a una depauperazione intellettuale e scientifica, che non possiamo più permetterci.

Due sono i fronti da presidiare: da un lato creare le condizioni affinché, dopo un periodo più o meno lungo, i giovani talenti possano rientrare in Italia, riallineando il salario a quello degli altri principali centri di ricerca, e dare loro la possibilità di sviluppare un percorso di carriera e di disporre di infrastrutture fisiche e tecnologiche – come laboratori attrezzati – adeguate e finanziate in maniera costante, nelle quali poter continuare a sviluppare l’attività scientifica. Siamo in fondo alla classifica dei Paesi OCSE per numero di professori universitari e ricercatori in rapporto agli studenti.

Abbiamo quindi bisogno di accrescere in modo significativo il numero dei ricercatori e dei professori, non solo consentendo la sostituzione di ogni professore e ricercatore pensionando, ma anche aumentando globalmente la dotazione organica complessiva.

Le fondamenta di ogni Stato sono nell’istruzione dei suoi giovani: l’istruzione universitaria incarna questo ideale e lo Stato ha il dovere di porre in essere ogni strumento utile perché i nostri giovani possano frequentare con successo i nostri atenei, rinnovandone anche la dotazione tecnologica e strumentale.

Durante il mio mandato farò il possibile perché si possano rinnovare le infrastrutture, perché l’accessibilità diventi effettiva per il maggior numero di studenti possibile, sviluppando percorsi complessi, ma di indiscusso valore, come la maggiore fruibilità dei corsi dedicati alle cosiddette STEM (Science Technology Engineering Mathematics), con riferimento in particolare alle ragazze, alle studentesse.

Investire nell’università sarà un obiettivo a medio e lungo termine e necessiterà della collaborazione diffusa tra enti e mondo delle imprese. La ricerca di fondi dedicati e di laboratori ad altissima specializzazione tecnologica da condividere con le aziende del made in Italy, il coordinamento e il raccordo tra gli enti e i centri di ricerca, permetteranno di evitare quella dispersione ed eccessiva parcellizzazione delle risorse umane e strumentali che finora ha rallentato la nostra internazionalizzazione. Per questo occorre valutare la creazione di un’Agenzia nazionale della ricerca.

Oggi lo scienziato opera in un network globale, con strumenti altamente tecnologici, sofisticati e molto costosi, per cui necessita di finanziamenti talmente ingenti che non possiamo pensare di recuperarli dal solo bilancio pubblico. Penso che dovremo incentivare l’utilizzo dello strumento del partenariato pubblico – privato, che consentirebbe di fatto un maggior apporto di risorse in favore della ricerca.

I luoghi del sapere – università e centri di ricerca in primis – oltre a garantire la fondamentale ricerca di base dovranno altresì contribuire a rendere il sistema produttivo italiano maggiormente competitivo e propenso alla valorizzazione delle attività ad alto valore tecnologico.

È mia intenzione agire sui cospicui finanziamenti messi a disposizione dalla Commissione europea: il 16 e il 17 luglio prossimi si terrà a Vienna una riunione informale dei Ministri della ricerca e voglio operare da subito per ottenere quanti più finanziamenti possibili dal prossimo Programma Quadro in materia di ricerca e innovazione, denominato “Horizon Europe 2021-2027”. Il valore del Programma-quadro è di circa 100 miliardi di euro ed è un’occasione da non farsi sfuggire. Per ottenere tale risultato stiamo definendo un coordinamento preliminare con tutte le strutture ministeriali e gli enti interessati per portare al tavolo negoziale di Bruxelles una posizione univoca, autorevole e coesa. Dobbiamo agire in anticipo e in sinergia.

Le sfide di un mondo sempre più connesso ci portano inevitabilmente a riflettere sulla necessità di attrarre finanziamenti esteri. Abbiamo un capitale umano adeguatamente formato, abbiamo un’infrastruttura della conoscenza di alto livello, ma ciò nonostante siamo molto indietro rispetto ad altri Paesi europei nella capacità di attrarre fondi stranieri per sostenere la ricerca e l’innovazione. Nel 2015 questa voce valeva solo lo 0,08 per cento del nostro Prodotto interno lordo: non è sufficiente e va incrementata.

Il patrimonio della ricerca e dell’alta formazione tecnologica e professionale del nostro Paese va sviluppato ulteriormente. Nel panorama educativo italiano un importante ruolo sociale e di formazione post diploma è rivestito dagli ITS, gli istituti tecnici superiori che, disseminati in diverse aree geografiche, hanno permesso in questi anni, in sinergia col mondo delle imprese, degli istituti di istruzione superiore, delle università e delle Regioni di garantire un’offerta formativa altamente qualificata, volta a promuovere elevate competenze tecniche e a sviluppare processi d’innovazione in contesti a grande tasso di tecnologia. In un’ottica di apprendimento permanente, gli ITS si pongono come naturale raccordo tra il mondo della scuola, dell’università e del lavoro, creando figure qualificate, reinserendo nel mondo del lavoro giovani e adulti altrimenti a rischio dispersione. Lo strettissimo rapporto con il territorio in cui sono presenti gli ITS permette altresì lo sviluppo di una filiera produttiva naturalmente legata all’ambiente e allo sviluppo del made in Italy. In questa prospettiva, gli ITS possono rafforzare i legami tra mondo delle imprese e della scuola ed è mia intenzione sostenere il loro ruolo fondante. Vorrei ricordare l’esperienza degli ITS lombardi, che da provveditore di Milano ho potuto toccare con mano. È il segnale di come il rapporto tra scuola, università, enti locali, Regioni e aziende del territorio possa promuovere processi virtuosi e creare cluster tecnologici a grande impatto lavorativo sul micro-territorio.

Un intervento importante dovrà riguardare l’innovazione didattica e in particolare quella digitale. Sarà incentivata l’offerta formativa online e telematica delle università statali, attraverso finanziamenti finalizzati, nonché meglio regolamentata l’offerta formativa delle università telematiche private.

Nella mia visione programmatica un posto di rilievo è ricoperto dal settore dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica (la cosiddetta AFAM). Provvederemo a completare il processo di riordino dell’offerta formativa, procedendo all’elaborazione dei criteri per l’attivazione dei corsi di specializzazione e di formazione alla ricerca, in attuazione del terzo ciclo formativo superiore. In tale settore è strategico, per garantire la qualità delle diverse programmazioni autonome delle AFAM, pensare a un generale strumento di accreditamento e di rigorosa programmazione, secondo requisiti di qualità compatibili e comparabili con quelle delle università.

Più nel dettaglio, il Ministero sta lavorando nel processo di statalizzazione di 18 istituti superiori di studi musicali con l’obiettivo di realizzare entro il 2020 la trasformazione degli stessi in conservatori di musica statali. Si tratta di un percorso che è auspicabile collocare entro un quadro più ampio di complessivo riordino della formazione artistica e musicale, che vede nel nostro Paese un riferimento internazionalmente riconosciuto e comprende istituti di eccellenza, in cui vengono a formarsi anche molti studenti stranieri.

Nell’ottica di un orientamento permanente e teso allo sviluppo dei talenti dei nostri ragazzi, è fondamentale un curriculum verticale anche in campo artistico, musicale e coreutico. Sviluppare percorsi di scuola secondaria di primo grado a indirizzo coreutico, potenziare quelli a indirizzo musicale, incentivare l’utilizzo di linguaggi artistico-espressivi, sarà alla base di un processo di verticalizzazione delle scuole a partire dal basso, dalle scuole di primo ciclo, fino ad arrivare al mondo universitario e lavorativo.

Signori Presidenti, onorevoli senatori e deputati, vi ringrazio per l’attenzione che avete prestato e per l’occasione concessami di esporre quella che rappresenta la mia visione del sistema educativo, universitario e della ricerca, le criticità da affrontare, le azioni da sviluppare, le speranze e le idee da trasformare in realtà, con un obiettivo solo, quello di avviare un percorso che possa portare a un sistema di istruzione e di ricerca più moderno ed inclusivo, in grado di aprirsi al confronto e al dialogo con soggetti diversi, nazionali e internazionali, in grado di comprendere e valorizzare le differenze dei discenti, ma anche che rimetta al centro della società il ruolo essenziale dei docenti e dei formatori, ricordando sempre che il futuro passa dalla scuola di ogni ordine e grado e che tutte le nostre ragazze e i nostri ragazzi devono avere le migliori opportunità di studio che possiamo loro creare.

Sarà mia cura raccogliere le vostre domande, le vostre osservazioni, le vostre critiche costruttive e i suggerimenti che vorrete darmi per dare valore a questo incontro e alle differenti visioni della scuola, dell’università e della ricerca, con l’obiettivo di ritrovarci a breve per poter fare una sintesi.

Mi si permetta, in chiusura, un omaggio a Simone Veil, che diceva: “l’intelligenza cresce e porta frutti solo nella gioia. La gioia di imparare è indispensabile agli studi come la respirazione ai corridori”.